Sono passati quasi due mesi dall’omicidio di Youns El Boussettaoui, il 39enne di origine marocchina ucciso in piazza Meardi a Voghera la sera del 20 luglio con un colpo di pistola dall’assessore leghista di Voghera Massimo Adriatici, e sulla vicenda continuano a emergere dettagli inquietanti. L’indagine giudiziaria ha già portato ad alcune conferme e svelato nuovi scenari. È ormai accertato che l’assessore comunale alla Sicurezza, ex poliziotto con la vocazione da “sceriffo”, eletto nella Lega di Salvini con 115 preferenze e ora ai domiciliari con l’accusa di eccesso colposo di legittima difesa, girasse per la città armato, con una pistola sempre carica, per “controllare di persona strade e piazze”. Nel mirino dell’assessore, subito dopo il suo insediamento in giunta, erano finiti vagabondi ed emarginati, come mostra la firma su due Daspo urbani destinati a persone che nel centro di Voghera chiedevano l’elemosina. “Fuori dalla città chi non rispetta le regole”, era il suo motto. Per “ripulire” Voghera dagli indesiderati durante il suo breve mandato aveva anche deciso di riempire Voghera di telecamere. Occhi elettronici che, ironia della sorte, si sono rivelati inutili nella ricostruzione dell’omicidio: solo due telecamere putavano su piazza Meardi, ma una era guasta e l’altra era orientata verso la via Emilia, quella della “movida”, ritenuta dall’assessore un’altra piaga da combattere. Altre telecamere, invece, hanno giocato a sfavore di Adriatici: da alcuni filmati agli atti dell’inchiesta è emerso che l’assessore pedinava Youns El Boussettaoui, seguendolo per le vie della città. Fino a che, la sera del 20 luglio, lo ha affrontato davanti al bar, uccidendolo. Un delitto che ha svelato anche le contraddizioni della città, sottolineandone le debolezze in termini di intolleranza e odio per il diverso (una parte di città si è schierata a fianco dell’assessore) ma facendo emergere anche prese di posizione coraggiose. All’indomani dell’omicidio quasi mille persone si sono riversate in piazza per una manifestazione accogliente e pacifica, nonostante l’ordinanza della sindaca Paola Garlaschelli che aveva invitato i negozianti a restare chiusi per timore di disordini. Ad aprire il corteo c’era la sorella di Youns, Bajia El Boussettaoui, con la sua richiesta di giustizia, ma anche giovani figli di immigrati, i rappresentanti della comunità marocchina, oltre che semplici cittadini. Pochi giorni dopo sette associazioni (Insieme, Anpi, Comunità del Carmine, Legambiente, Cgil, Solidari-Dimbalente e Noi siamo idee), hanno firmato una lettera per denunciare il silenzio di una parte della città e sollecitare a “trovare nuove occasioni di iniziativa e riflessione, per respingere le logiche che da troppo tempo speculano sulle paure, sul rifiuto delle diversità e sull’esclusione delle persone più fragili ed esposte”.
2021-09-05