Quest’anno la giornata che celebra l’anniversario dell’abolizione della schiavitù negli Stati uniti non è stata festeggiata solo dagli afroamericani: il 19 giugno, infatti, le città degli Usa si sono riempite di persone solidali di ogni etnia. Dopo circa un mese di mobilitazioni ininterrotte e crescenti contro il razzismo, questa data ha assunto un valore letteralmente speciale, cioè ha dato un piccolo ma significativo saggio dell’umanità intesa come specie unica e differenziata.
Ai protagonisti va il merito di non aver ceduto alla legittima rabbia per il fatto che proprio in quella giornata Trump ha ripreso la sua campagna elettorale a Tulsa, città dell’Ocklahoma storicamente teatro di un’orrenda strage razzista e recentemente dell’assassinio di un altro afroamericano da parte della polizia. Ma, a conti fatti, la convention trumpiana ha mostrato ben poca umanità, sia nei numeri (poche migliaia di partecipanti a fronte del milione di persone che il tronfio idrofobo aveva preannunciato) che per la scelleratezza dei partecipanti, tutti o quasi senza mascherine nel momento in cui gli Usa, e specialmente gli Stati trumpiani, vedono di giorno in giorno impennarsi le cifre delle vittime del Covid.
Insomma il 19 giugno è stato specchio della spaccatura fra l’America peggiore e quella migliore. Quest’ultima, per ricomporre il senso e il sentimento dell’umanità e della vita tutte intere, ha di fronte a sé tante sfide: perché è evidente che il razzismo, a differenza dello schiavismo, non si può abolire. Va superato concretamente dalle donne e dagli uomini che cambiano e migliorano e l’attualità dimostra che, per quanto questa strada sia difficile, vi sono persone disposte a percorrerla.