Turchia: il 2022 è “l’anno degli scioperi”

Secondo i dati ufficiali, l’inflazione dei prezzi al consumo è ormai giunta al 48% su base annua ma fonti indipendenti come l’Enag (Gruppo indipendente di ricerca sull’inflazione) calcolano che essa abbia superato il 114%: condizioni materiali di vita insostenibili per la stragrande maggioranza della popolazione. Scioperi si stanno diffondendo sin dall’inizio dell’anno in molte città del paese e in diverse categorie; si tratta di una novità nella Turchia degli ultimi vent’anni che suggerisce uno scenario ben diverso dall’immagine di grandeur neo-ottomana proiettata, soprattutto in politica estera, dal presidente Erdogan.

Gli scioperi coinvolgono lavoratori di differenti categorie, dai dipendenti della BBC a Istanbul a quelli del gigante dell’e-commerce Trendyol, dagli autisti del servizio di consegna online Yemeksepeti alla catena di supermercati Migros. Proprio quest’ultima ha reagito con massicci licenziamenti; la lotta è tutt’ora in corso e riguarda non solo le rivendicazioni salariali ma la stessa agibilità sindacale nei posti di lavoro. Più di uno sciopero si è concluso con una parziale vittoria: in diversi casi i lavoratori hanno ottenuto aumenti salariali importanti, recuperando però solo parzialmente il loro potere d’acquisto. Si tratta di lotte elementari volte a strappare condizioni materiali migliori e ad arginare lo sfruttamento e meritano solidarietà. Se apriranno una nuova stagione nel paese è troppo presto per dirlo, però sono già l’espressione di una novità che suscita simpatia: indicano una flessione nello strapotere di un presidente che in questi anni ha messo il bavaglio ad ogni manifestazione di dissenso, rafforzato la propria base sociale moltiplicando la corruzione, condotto una politica estera aggressiva, continuato la storica guerra contro la popolazione curda, alimentato il nazionalismo e dunque il razzismo contro milioni di profughi presenti nel paese.