Dai primi di marzo il Senegal vive al ritmo di manifestazioni e di interventi violenti delle forze dell’ordine che hanno causato diverse morti – da 5 a 11, secondo le fonti – e con scontri, distruzioni e saccheggi. Al momento vige una relativa tregua ma la situazione resta tesa.
Ad aver scatenato il caos è stata l’accusa di stupro e minacce di morte presentata da una donna, Adji Sarr, a carico di Ousmane Sonko, leader del partito Pastef e figura di spicco dell’opposizione all’attuale presidente Macky Sall. La denuncia e l’apertura di una procedura hanno suscitato la reazione del Pastef che paventa un complotto contro il proprio leader, arrestato per “manifestazione non autorizzata”, fatto che ha scatenato le proteste. Sonko è poi stato scarcerato ed è ora in libertà vigilata.
Delle mobilitazioni fanno parte anche altre formazioni che non necessariamente sostengono Sonko ma che temono un tentativo di liquidare un avversario politico per via giudiziaria, come già avvenuto due volte nel recente passato, e denunciano una svolta autoritaria. Ma a Dakar e altrove sono scesi in piazza tanti settori sociali, tantissimi giovani, mossi anche da altre esigenze. Si tratta di settori vigili e reattivi che attraverso associazioni, collettivi, cooperative, ecc., spesso si fanno carico di ciò che lo Stato dovrebbe fare ma non fa o fa poco nell’ambito dell’educazione, della sanità, del sostegno ai più fragili. Sono soggetti in prima linea, coinvolti e consapevoli della grande precarietà in cui vivono milioni di senegalesi. Una precarietà esponenzialmente aggravata dalla pandemia e dalle restrizioni imposte per contrastarla dal punto di vista sanitario, che però hanno pesantemente colpito l’economia informale a cui tanti ricorrono per vivere, in primo luogo giovani con poche prospettive. Molti avevano sperato in Macky Sall, ne sono stati fortemente delusi e con rabbia lo stanno sollecitando a cambiare registro.