Pasqua di guerra in Terra santa

Gerusalemme. La polizia israeliana ha preso d’assalto la moschea Al Aqsa – gremita di fedeli musulmani in occasione del secondo venerdì del Ramadan – colpendo indiscriminatamente i palestinesi presenti (anche con proiettili di gomma), ferendone più di 150 e procedendo a centinaia di arresti. Colpiti gli anziani guardiani della moschea, i paramedici giunti in soccorso, i fedeli in preghiera. Una aggressione brutale, ennesimo episodio della guerra permanente dello Stato israeliano contro il popolo palestinese. Il tempo e il luogo scelti sono altamente simbolici – la Spianata delle Moschee è tradizionalmente amministrata dai palestinesi – ed è evidente l’obiettivo sionista di sempre, quello di piegare la resistenza e spezzare l’identità palestinese. L’occasione è stata a gran voce suggerita dai gruppi più estremisti della destra israeliana, che hanno sfruttato una banale congiuntura del calendario religioso; quest’anno, infatti, vi è una coincidenza temporale del mese sacro ai musulmani, della pasqua ebraica e di quella cristiana: quale occasione migliore per far scattare la provocazione dimostrando che non c’è posto per tutti, e che i palestinesi sono un corpo estraneo nello “stato ebraico”? Il contesto delle ultime settimane, poi, aveva già visto una impennata delle violenze: da mercoledì scorso, in Cisgiordania sono stati uccisi 7 palestinesi. Questo piccolo fazzoletto di terra vive da decenni una condizione di guerra pressoché permanente, la cui principale origine ruota intorno alla negazione sionista del popolo palestinese. Purtroppo in questi tempi di più generale decadenza bellica, tale condizione sembra destinata a permanere e a riproporsi.