Sabato 2 gennaio i villaggi di Tchoma Bangou e Zaroumadareye, nell’ovest del Niger, sono stati assaliti da due colonne di uomini armati: almeno 100 le vittime. È un orrendo massacro di civili inermi ed è l’ennesimo atto di una guerra non dichiarata che incendia il Sahel.
Ancora non vi è una attribuzione certa delle responsabilità; un’ipotesi è che si tratti di una vendetta contro le milizie di autodifesa costituite dagli abitanti dei villaggi per proteggersi dal terrorismo jihadista che imperversa nella regione. Infatti, numerose e diverse bande terroriste, alleate o affiliate ad al-Qaeda o all’Isis, imperversano da anni in un’area vastissima a cavallo dei confini statali di Niger, Mali e Burkina Faso.
Francia, Stati uniti, Germania e perfino l’Italia mantengono le loro truppe nell’area con lo scopo di mantenere i conflitti più lontano possibile dall’Europa, gestire i propri interessi economici e bloccare il flusso di emigrazione verso nord: infatti il Sahel è l’inconfessato “confine meridionale” del Vecchio continente. Ma il loro sforzo si è finora rivelato vano: le bande armate hanno ricche fonti di autofinanziamento, la più lucrosa delle quali è proprio il controllo del flusso migratorio verso la Libia e il Mediterraneo di decine di migliaia di persone in cerca di futuro. Il terrorismo si alimenta anche delle politiche europee escludenti e prepotenti.