Da un recente sondaggio* sull’invio di armi all’Ucraina, risulterebbe che una maggioranza degli intervistati sarebbe contraria. Vi si può leggere un segnale confortante, visto che la maggioranza della politica è orientata al contrario. Fa però ulteriormente riflettere il fatto che tra il quasi 40% dei favorevoli all’invio di armi, ben il 74% di essi si riconoscerebbe nel centrosinistra. Ci si sarebbe forse aspettato l’opposto.
Non è facile oggi identificare chi sia elettore di un determinato schieramento. Da tempo vi è infatti una grande fluidità anche sul piano degli orientamenti elettorali, espressione di una perdita di riferimenti reciproca tra politica e persone comuni che si combina con l’implodere degli assetti sociali. In altri termini, chi oggi voterebbe, per esempio, centrosinistra non necessariamente costituisce un “popolo di sinistra”. I raggruppamenti psico-sociali odierni sono molto più trasversali, vaghi e mobili. La guerra in Ucraina ha sollecitato ulteriormente nazionalismi e razzismi, e i più retrivi, siano essi putiniani o democratici, a loro volta incalzano tali sentimenti negativi anche tra la maggioranza indifferente, la quale in gran parte abbassa ancor di più lo sguardo forse perché vive anche un senso di impotenza di fronte a un conflitto dalle conseguenze già oggi pesanti e minacciose. Chi è più volonterosamente reattivo sembra tendere verso la solidarietà diretta. Fondamentale quanto insufficiente, perché spesso lascia in gran parte inevase domande pur parziali ma che nascono da spinte profonde, che in tanti, anche tra coloro che potremmo dire “orientati a sinistra”, in qualche modo si pongono: come fermare la guerra? Come cominciare la pace?
A ciò si possono dare risposte anche decisamente sbagliate come, appunto, l’invio di armi da parte di Stati a un altro Stato. In tanti si stanno rendendo conto che ciò alimenta soltanto la guerra stessa e moltiplica morti e distruzioni, perciò la maggioranza delle persone è sempre più contraria al loro invio. Il coro guerrafondaio però, da Mattarella in giù, cerca di far leva su aspetti di appartenenza identitaria e ricorre alla mitologia della “gloriosa Resistenza”. Quest’ultima, dicono, non avrebbe potuto vincere senza le armi alleate. La Resistenza come mitologia fondativa democratica viene perciò ulteriormente celebrata per subordinare le persone alle logiche di guerra, nascondendo, per altro, il fatto che la stessa Resistenza in gran parte sottomise il proprio orizzonte a quello dell’instaurazione di uno Stato democratico (e diversamente totalitario), rinunciando o osteggiando anche violentemente ben più ampie e profonde speranze di pacificazione e di liberazione.
*Euromedia per La7 del 25 maggio