I l Poeta combatte la decadenza del suo tempo: guerre e conflitti di ogni tipo, una politica incapace di progettare, l’avidità dei nuovi ceti mercantili che mette in crisi la società. La radice di questa decadenza è morale: superbia, invidia, avarizia le cause principali. Per l’Alighieri bisogna rinnovare la convivenza a partire da una nuova visione dell’umanità considerata come un tutto composto da diverse parti e a sua volta parte del tutto dell’universo1. In questo quadro il poeta, cittadino del mondo (“Io che ho per patria il mondo come i pesci hanno il mare”2), vagheggia di vivere in una città ideale di amici saggi, virtuosi e felici. Una comunità ecumenica perché composta da pagani, ebrei, cristiani, musulmani e “atei”, di cui le donne sono pienamente protagoniste. L’ecumenismo è, dunque, un tratto essenziale dell’umanesimo politicoreligioso di Dante e come ci dicono le/i studiose/i più attenti che si distaccano dalla vulgata di Dante italiano o europeo anzitempo, esso si rintraccia anche nelle fonti che scelse. Attinge infatti agli autori più disparati tra cui ancora suscitano un certo imbarazzo quelli musulmani come Avicenna, Averroè e Alfargano (i primi due considerati “spiriti magni” e collocati nel Limbo). La “città” delle persone sagge è parte del sogno di una più vasta comunità politica pacifica composta da culture e popoli differenti: europei, africani (tra cui i berberi del Fezzan), asiatici (come gli Sciti originari delle steppe poi insediatisi nei pressi del Mar Nero e del Mar Caspio). Dante con la sua opera e con la sua attività politica ambiva non solo alla sua gloria di poeta, ma a combattere per il rinnovamento morale dell’umanità di fronte alla decadenza politica e dei costumi imperante. Un umanesimo militante, dunque, purtroppo avviluppato in una veste politico-religiosa e dunque preda di contraddizioni laceranti e insanabili come quella che vuole la Monarchia universale garante della pace e della concordia tra gli umani. Mentre lo Stato, di qualsiasi natura, nasce dalla guerra e per questo è costituzionalmente incapace di garantire la pace, anzi è atto a seminare conflitto e oppressione. Al contempo però, proprio perché Dante lottava per realizzare la propria visione dell’umanità, le sue suggestioni più profonde vengono sminuite dai paludati interpreti accademici avvezzi a discutere di politica o del sesso degli angeli e non della vita e di come migliorarla attraverso “virtute e canoscenza”.
1 Dante Alighieri, Monarchia, I, VII, in idem, Sansoni, Milano 1965.
2 Dante Alighieri, De Vulgari Eloquentia, I, VI in Tutte le opere, Sansoni, Milano 1965.
tratto da La Comune n°375