Sono usciti i risultati delle prove Invalsi di quest’anno e con grande evidenza dimostrano una cosa tanto elementare quanto significativa: le competenze selezionate, schematizzate e catalogate da Confindustria per valutare le scuole tramite le prove Invalsi sono largamente peggiorate negli ordini di scuola dove maggiormente si è ricorso alla didattica digitale. Tutta la retorica, non solo istituzionale, per cui la digitalizzazione oltre a fare fronte all’emergenza pandemica, sarebbe stata il modo migliore per modernizzare l’istruzione e la preparazione al mondo del lavoro cade impietosamente sotto i loro stessi criteri: nelle scuole medie più di una persona su tre non raggiunge la sufficienza in italiano e quasi una su due non la raggiunge in matematica; alle superiori sono insufficienti circa il 50% in entrambe le materie, percentuale che nelle regioni del sud raggiunge e supera il 70%. La DAD non va bene neanche per “istruire” i presunti cittadini-lavoratori del domani. E certo non ci servivano le prove Invalsi per capire i danni della DAD, l’abbiamo denunciato in tempo reale e abbiamo cercato di contrapporre ad essa la ricerca e la sperimentazione di alternative in presenza e in sicurezza.
Settembre purtroppo è vicino, le classi pollaio sono riconfermate, la mancanza di un piano serio di assunzioni e l’assenza totale di un progetto sugli spazi preannunciano una ripartenza all’insegna del caos e del pericolo. Dichiarare che l’unico modo per non usare la DAD è il completamento della campagna vaccinale è ancora una volta un ingannevole ricatto. Ancora una volta, la salute e la sicurezza necessarie per educare possono essere garantite solo dal buon senso, dalla solidarietà, dalla cura e dall’attenzione di chi nelle scuole ci studia e ci lavora.