Israele
Con licenza di uccidere

Mercoledì scorso Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese di Al Jazeera, è stata assassinata a sangue freddo da soldati dell’esercito israeliano a Jenin; un suo collega è stato ferito alla schiena. Si tratta di un omicidio deliberato ed efferato – con lo scopo evidente di tacitare una delle voci più conosciute e stimate dell’emittente qatarina – che si inscrive in una fase di intensificazione delle violenze e delle intimidazioni nei confronti dell’informazione. Di fronte agli spudorati tentativi di insabbiamento del governo di Tel Aviv (così definiti, tra gli altri, sia da Human Right Watch che da B’tselem, importante organizzazione israeliana per i diritti umani) perfino il segretario generale dell’Onu è costretto a chiedere indagini indipendenti, che ovviamente non ci saranno: troppo estesa è l’impunità di Israele, troppo forte la sua necessità di tappare la bocca a chi racconta le violenze crescenti dell’occupazione. Non a caso anche lo scorso anno, nell’ennesimo bombardamento di Gaza del maggio del 2021, uno degli obiettivi colpiti fu il palazzo che ospitava sia Al Jazeera che l’agenzia di stampa Associated Press.

Nel generale contesto di bellicismo crescente, anche nella martoriata terra di Palestina – sia quella ufficialmente parte dello Stato di Israele, sia in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza – si rafforzano i venti di guerra. Dall’inizio dell’anno, e ancor più dopo le provocazioni sioniste di aprile sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, si contano ormai decine di morti, in larga maggioranza palestinesi, provocati dall’esercito o da civili armati israeliani e da attentati palestinesi, in una spirale di violenze senza prospettive. Tanto più prezioso è l’impegno dell’informazione indipendente e delle associazioni impegnate a difendere i diritti umani dei palestinesi quotidianamente calpestati dal regime di apartheid loro imposto dal governo israeliano.