Guerra chiama guerra, con evidente effetto epidemico. Nuovi conflitti si accendono all’ombra di quello ucraino mentre altri, vecchi e mai sopiti, riacquistano vigore; è il caso di quello, ormai quasi secolare, di Israele contro i palestinesi. Nel mese di aprile si sono registrati numerosi scontri in tutto il paese con decine di morti; c’è poi stata la provocazione sionista alla Spianata delle Moschee con centinaia di feriti. Infine, il consueto e tragico scambio: razzi da Gaza su Israele, bombardamento di Israele su Gaza. È indispensabile ribadire che l’origine prima del conflitto e le responsabilità storiche risiedono nell’occupazione israeliana della Palestina e nell’obiettivo storico del sionismo di cancellare ogni resistenza e diritto alla vita del popolo palestinese. Ma ciò non assolve in alcun modo Hamas, direzione palestinese a Gaza: infatti è con analoga logica criminale che Hamas sfida periodicamente Israele sul piano militare, ovviamente senza alcuna possibilità di vittoria vista l’enorme disparità sul campo. Ma il suo intento è un altro: mantenere il proprio ruolo politico a qualunque costo. Con sommo cinismo, Hamas si fa scudo di un milione e mezzo di palestinesi che vivono a Gaza, già ostaggi dello stato di Israele. È uno schema che si ripete da anni: privo di sbocchi dal punto di vista della lotta di liberazione del popolo palestinese, ma efficace nel rinsaldare la leadership di Hamas nella Striscia al prezzo di periodici, feroci bombardamenti israeliani e migliaia di morti negli ultimi quindici anni.
2022-05-02