Chi avesse pensato che la sconfitta dell’Isis nei suoi loghi di origine, in Siria e Iraq, rappresentasse la sua fine, avrebbe sbagliato e non poco. Innanzitutto perché la perdita del controllo militare sul territorio dove aveva costruito la sua infame ipotesi di Stato islamico non significa già uno sradicamento pieno da quegli stessi luoghi, che continuano ad essere funestati da attentati, attacchi, offensive e atti violenti perpetrati da cellule in clandestinità degli sgherri nazijihadisti. Ma soprattutto perché non è mai cessato il tentativo di Daesh di esportare oltre i propri confini naturali la terribile pratica omicida e l’ideologia mortifera che ne sta alla base.
Così negli ultimi giorni, per opera di gruppi locali affiliati all’Isis, si sono susseguiti gli attacchi contro cristiani in Indonesia. Ma è principalmente verso l’Africa che si concentrano l’attenzione e gli sforzi militari delle milizie nazijihadiste: l’Isis ha preso il controllo della regione di Cabo Delgado nel nord del Mozambico, dove ha ucciso con efferatezza decine di persone, e da lì si sta muovendo per occupare anche zone della vicina Tanzania.
Pericolosi rigurgiti di un’organizzazione che non ha mai cessato di essere pericolosa, come dimostrano anche i recenti attentati in Europa, e che ora, ferita, cerca disperatamente di rialzare la testa.