Giovedì 26 novembre contadini, braccianti agricoli, operai, studenti, lavoratori domestici, autotrasportatori e tassisti indiani hanno scioperato contro il governo Modi. Alla mobilitazione hanno aderito 10 sindacati e oltre 250 organizzazioni di contadini, molte delle quali autorganizzate. Molti giornali lo hanno definito lo sciopero più grande della storia, con circa 200 milioni di partecipanti. La componente contadina e bracciantile è sicuramente stata quella più significativa combattiva. Infatti, da mesi è mobilitata per contrastare l’offensiva governativa filo padronale e pro privatizzazioni. Il governo Modi vuol favorire, da una parte, gli speculatori immobiliari e le grandi società agricole che intendono espellere i piccoli coltivatori dalle loro terre e mettere a coltura anche le foreste e, dall’altra, gli interessi dei trafficanti internazionali di derrate alimentari che vogliono accaparrarsi i frutti della terra a prezzi stracciati, fissati delle borse merci a livello mondiale.
Nei giorni precedenti lo sciopero generale, circa 300mila contadine/i (secondo The Guardian) provenienti da diversi stati dell’India, si sono messi/e in cammino verso Nuova Delhi. E al 4 dicembre erano ancora in centinaia di migliaia, accampati/e sulle autostrade nazionali e attorno a varchi autostradali della capitale, decisi/e a resistere fino a quando le loro richieste non verranno accolte. Tutto ciò sta avvenendo nonostante la grave emergenza covid patita dalla popolazione.
In India il settore agricolo impiega circa il 48% della forza lavoro e rappresenta la principale fonte di sostentamento per il 58% dell’1,3 miliardi di abitanti del paese.
Il governo centrale vuole condannare settori sempre più ampi della popolazione alla povertà assoluta. La maggior parte dei contadini e dei braccianti sono donne. Sono loro oggi l’avanguardia delle mobilitazioni, in un contesto ferocemente patriarcale e stanno combattendo per il diritto alla terra e a una vita dignitosa, per se e per i loro figli.