In queste settimane il quotidiano La Repubblica pubblicizza l’iniziativa “Digitali e Uguali” (già il titolo fa accapponare la pelle), una campagna di raccolta fondi per fornire pc a studenti e studentesse che ne sono sprovvisti. Con una serie di slogan di cattivo gusto – “Se acquisti un computer quest’anno i bei voti torneranno. Con un computer su ogni fronte, eviterai di vivere sotto un ponte.”- l’iniziativa si inserisce in quel filone di idee che vede la digitalizzazione come chiave di miglioramento della vita di tutti e tutte, a grosso sfavore di ciò che importa davvero: le relazioni interpersonali.
“L’inizio di una nuova era è giunto” recita uno degli slogan della campagna. Ma di che tipo di era stanno parlando? Un’era che, a giudicare da quest’iniziativa, ci vede come piccole particelle alienate, sempre più distanti, sempre più soli e sole. Perché non si prova a pensare ai veri bisogni dei bimbi e dei giovani, riflettendo con loro, senza pretendere di parlare sempre per loro? È evidente che un pc non abbatte le disuguaglianze (questa pretesa, inoltre, banalizza le nostre infinite diversità), e soprattutto non sostituirà mai il contatto umano. Anche le numerose manifestazioni e occupazioni organizzate per il ritorno a scuola in presenza in questi mesi sono espressione di quanto i computer siano lontani dai nostri bisogni, e anzi, non vediamo l’ora di gettarli via per tornare di nuovo tra i banchi di scuola, guardarci negli occhi finalmente sorridenti, coscienti di quanto sia prezioso avere gli altri accanto, non più dietro gli schermi.
2021-04-09