Finché io ho il bene solo nella testa, senza realizzare tale idea nelle mie azioni, senza assumerla come principio di vita, essa non è una verità in me, ma solo una rappresentazione.
Ludwig Feuerbach
Difficile e strana situazione quella in cui ci troviamo. Abbiamo assunto alcune misure concrete di prevenzione basilare per contenere e sconfiggere l’epidemia. Lo abbiamo fatto tempestivamente ed in autonomia ascoltando le indicazioni mediche. In ciò e solo in ciò coincidiamo con certe decisioni governative. Per i modi e gli argomenti usati dalle istituzioni e dalla grande stampa, per il disegno, per le priorità e le prospettive d’assieme siamo più che mai alternativi, quindi distanti e contrari ai poteri oppressivi, in tutte le loro articolazioni.
-Un atto di umiltà-
Che idee si fanno le persone (e noi tra loro) di quanto accade?
La scienza fornisce alcune coordinate utili ma non può darci risposte certe, definitive, risolutive. In effetti bisognerebbe riconoscere che non sarà mai in grado di farlo perché siamo parte di un tutto, per convenzione chiamato universo, che come specie umana non possiamo giungere a conoscere completamente né tantomeno a dominare. Disgraziatamente è evidente che i poteri bellico-industriali, da sempre mobilitati per massacrare, sfruttare ed opprimere donne, bambini ed uomini, possono corrompere, violare e distruggere una parte della natura come stanno facendo con il mondo che abitiamo. Non è difficile dedurre che lo sconvolgimento artificiale dell’habitat naturale abbia un nesso con patologie pandemiche ed endemiche.
La popolazione mondiale tutta è scossa e minacciata, si sente esposta, percepisce la propria debolezza, in gradi diversi è oppressa dalla paura della malattia e della morte. È una condizione di necessità estrema in cui è più che possibile, indispensabile, riscuotersi e difendersi, imparare a proteggersi, riscoprire la forza dell’umanità, liberare il coraggio della cura, della guarigione. Si tratta dei sentimenti e delle ragioni, dell’opera e delle prospettive della vita che rintracciamo nel presente, aneliamo per il futuro, apprendiamo dal passato.
Oggi più che mai è necessario avere una visione d’assieme, proprio perciò è il caso di cominciare con una riflessione ed un atto di umiltà. Siamo una specie particolare tra le altre. Possiamo scoprire tante cose concernenti il vivente ed avere delle certezze anche importanti, ma sempre relative e parziali: non abbiamo nessun diritto di contrabbandarle come verità assolute. Possiamo cambiare l’ambiente circostante e persino noi stessi, con rispetto e pazienza, in un senso positivo o viceversa con violenza e furia in senso distruttivo. Siamo una specie perfettibile quindi sempre imperfetta.
Ci rendiamo confusamente conto, via via, di quello che avviene ma non conosciamo precisamente l’origine e lo sviluppo né tantomeno il rimedio ad un fenomeno nuovo e sorprendente, epidemico e letale come il coronavirus. Quantomeno abbiamo alcuni elementi sufficienti per provare a fronteggiarlo e dobbiamo saperli pensare ed interpretare. Consideriamo inoltre che questa malattia mondiale è in qualche modo frutto di alterazioni del sistema universale naturale, di cui siamo corresponsabili come specie umana.
-Potenzialità umane-
È quindi il momento di interrogarci sulle nostre potenzialità, senza smettere di riconoscerne i limiti, per mobilitarle ed impegnarle al meglio.
La nostra salute è una questione psico-fisica, di equilibrio dinamico costante tra corpo e mente che si influenzano reciprocamente in permanenza. Siamo innanzitutto noi, con le nostre costruzioni e rappresentazioni mentali, che attiviamo, rafforzando o indebolendo, sviluppando o riducendo, le capacità del fondamento biologico, corporeo della nostra esistenza. L’organizzazione rappresentativa è inseparabile dall’organismo vivente umano. Uno stato mentale forte ed efficace aiuta la condizione fisica come questa sostiene un pensiero benefico.
-Pensare il curare/si-
Perché è così importante questo semplice approccio? Perché è basato su alcune conoscenze essenziali certe, è suffragato dall’esperienza, è alla portata di chiunque lo scelga, è innovativo e riserva importanti sorprese. Al tempo stesso è largamente ignorato e contraddetto, non per caso. I poteri oppressivi ci chiedono (a modo loro) “come state?” e ci suggeriscono o impongono “come fare”, non si preoccupano affatto di sollecitare come sentire e pensare alla nostra salute fisica e mentale. Il che rende più incerti e faticosi i risultati immediati della lotta al virus, addirittura più in generale e alla lunga si rivela scarsamente utile, disutile o addirittura dannoso.
Si spiegano anche così decisioni ed informazioni contraddittorie provenienti dall’alto che hanno contribuito ad aggravare il caos causato dall’epidemia. Il loro non è un invito complessivo come il nostro “io penso a curare e curarmi” ma l’imposizione contingente e puntuale “io resto a casa”. Non si tratta di sottovalutare o sottacere la prudenza ma piuttosto di inquadrarla in una prospettiva più d’assieme, comune, di lungo periodo, non meramente individuale e passeggera. Perché non lo fanno? Innanzitutto perché non si fidano della gente comune e l’unica cura in cui credono è basata sul fare coercitivo (più o meno esplicito a seconda dei casi) ed eterodiretto. Una logica che fa leva sulle “leggi della savana” ovvero su una dubbia eredità evolutiva che ignora del tutto le capacità creative ed accrescitive delle persone, delle relazioni, delle comunità. Fanno ricorso alla paura piuttosto che al coraggio, obbligano alla fuga nel privato invece di stimolare la reciprocità attenta e benefica, propongono come al solito “protezioni” estranee ed estranianti.
Ora, malgrado il valoroso impegno di tante/i donne ed uomini del sistema sanitario – massacrato negli anni da più governi – che salvano tante vite, questo approccio statale non ha affatto ottenuto una responsabilità generalizzata e condivisa, come si è visto con gli esodi improvvisi ed assurdi da una città e da una regione all’altra o con i comportamenti pericolosi nella vita quotidiana. D’altronde il semplice e inerte “stare a casa” alla lunga non è certo una soluzione se non si imparano regole di vita sane e solidali, anzi può generare disagi psicofisici seri oltre ad incrementare i crimini “di famiglia” che colpiscono in primis donne e bimbi.
-Risvegliare le coscienze-
Questa psicologia, minacciosa per sé e per gli altri, è purtroppo diffusa tra tante persone. È il frutto amaro di un profondo sonno coscienziale. Non osservare il proprio mondo interno riconoscendo quello altrui ottenebra la visione del mondo esterno. Non saper interrogare sé stessi e chi ci è vicino ci predispone ad accettare qualsiasi menzogna diffusa da sconosciuti spesso anonimi. L’ossessione del fare riduce la dimensione propria dell’essere umano ad un mero trascinarsi esistenziale.
Ci sono però persone che cominciano a scuotersi. Le sardine ne sono un esempio limpido e genuino. Persone che ci chiedono e ci dicono, reagiscono alla difficoltà del momento provando a rappresentarsi più compiutamente la vita, cominciano a capire il valore dirimente dello scegliere e di scegliersi migliori con le altre. L’agire così diviene più coerente ed attento, consapevole ed utile. Le decisioni che si prendono quotidianamente si collocano nella riscoperta delle proprie capacità elettive complessive. Sono segnali di risveglio delle coscienze, della riscoperta di una ragione sentimentale del nostro essere al mondo che permette, aiuta, indirizza il curarsi ma di più: è una cura miracolosa essa stessa. Quella ragione sentimentale del bene che può sfidare la ragion di Stato dominante causa di tanti mali. Quella ragione sentimentale che ci appartiene profondamente e se ridestata e ben indirizzata può guidarci, anche in un momento di seria difficoltà come questo, verso la felicità possibile.
-La politica senza maschera-
Intanto la ragion di Stato continua ad imperversare sempre sorda e strumentale verso i sudditi, avida e viscida nei suoi loschi affari, presuntuosa e fredda di fronte all’umanità dolente. Adesso comincia a trapelare come la rapida e terribile diffusione del coronavirus in Lombardia sia legata all’abbondanza delle polveri sottili, frutto avvelenato di uno sviluppo industriale dissennato e della concentrazioni urbane tossiche che tuttora con incredibile cinismo vengono esaltate! C’è stata, da parte di padroni, governanti e amministratori, una trascuratezza generalizzata delle condizioni di sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, cominciando da quelli della sanità. Persino nelle zone più colpite dall’epidemia, come la Lombardia ed il bergamasco in particolare, si esita ancora a chiudere tutti gli impianti industriali inessenziali. Accumulo e sovrapprofitti, divinità di lor signori, reclamano sacrifici da chi lavora fino a metterne a rischio la vita. La lentezza nell’arginare il pericolo è anche frutto dell’ingordigia padronale che è stata assecondata da tutti i partiti statali.
In qualsiasi frangente il sistema di potere oppressivo cerca di controllare e manipolare la grande maggioranza delle persone comuni, molte delle quali, come gli immigrati e gli homeless, sono escluse de iure e de facto dai diritti di cittadinanza.
La logica negativa dei poteri oppressivi culmina in un sillogismo fatale: quanto più prevale tanto più fallisce, ed il suo fallimento la sospinge ad accanirsi ed incattivirsi ulteriormente verso le genti. Questo nuovo stress test dovuto all’epidemia è rivelatore. La decadenza che vivono le democrazie si aggrava, l’autoritarismo malcelato dalle untuose dichiarazioni ufficiali si fa strada nella ristretta mentalità predatoria, questa sì da “savana”, dei governanti. È opportuno ricordare che in questi casi tende a prevalere l’originale, il modello più collaudato che non è il fascismo o lo stalinismo (i cui tratti o residui pure fanno la loro apparizione), ma il dominio più longevo e organicamente oppressivo che l’umanità ha conosciuto: quello imperiale. Qual è l’impero più duraturo, basato storicamente, con alle spalle una “filosofia” della guerra e della comunità coatta, capace anche perciò di adattarsi preservandosi? La Cina, che attraverso millenari cambi dinastici e di regime ha però mantenuto un certo tipo di struttura e controllo burocratici di varie etnie racchiuse in un territorio protetto. Un impero capace di estrema e implacabile violenza nei suoi confini – ricordiamo Tien an Men – ma attento negli ultimi decenni a non farsi coinvolgere da conflitti internazionali. Un impero che cresce nella sua potenza industriale e tecnologica sottoponendo i suoi sudditi ai più aspri sacrifici, ad uno sfruttamento ed un inquinamento mostruosi, privandoli delle libertà formali borghesi, ma promettendo “sicurezza” come sembra aver garantito, non senza forti ritardi e colpevoli silenzi, di fronte all’epidemia.
L’influenza cinese è destinata a crescere nel mondo non solo economicamente ma soprattutto ideologicamente, in maniera diretta o indiretta. Viene o verrà vista come un’alternativa o un correttivo alle democrazie decrepite. È già così in Corea del sud dove la democrazia nell’emergenza medica è già intesa stile “grande fratello” con telecamere nelle case di tutti i malati. Oppure nella “civilissima” Gran Bretagna dove un serial killer si aggira per Downing street. Prima di ravvedersi stava seguendo le orme di alcuni suoi compaesani in camice bianco che da tempo mettono in atto un protocollo di “eutanasia” programmata nei confronti di persone anziane, e addirittura una “linea guida del Royal College of Paediatrics and Child Health (…) che consente espressamente che i trattamenti per il mantenimento in vita siano negati ai bambini se la loro «qualità di vita» è ritenuta insufficiente” (si veda il Foglio del 17 marzo 2020). Per non parlare delle follie trumpiane che spaziano tra muri, liquidazione dell’“Obamacare” e atteggiamenti pubblici di invito all’imprudenza rispetto al virus, salvo poi svoltare drasticamente. Ancora pensiamo a Macron che all’inizio ha assistito e avallato le dissennate promenade e pomiciate giacobine libertine sul lungo Senna di una piccola borghesia parigina frustrata, per dare tardivamente un cambio suggerito dalle… Borse.
I governi, ovvero i loro comitati d’affari o consigli d’amministrazione, esitano e decidono, mentono e si smentiscono, blandiscono e reprimono, tranquillizzano e terrorizzano, millantano e spergiurano. Sono oramai l’unica espressione della politica. Infatti i partiti sono spariti se si eccettua il messaggio di Zingaretti sulla sua positività al virus e qualche invocazione isterica alla leva obbligatoria del truce. Dove sono finiti gruppi ed organizzazioni di sinistra? Esprimono alcune sacrosante denunce di malefatte governative, avanzano talvolta rivendicazioni allo Stato, trascurando o ignorando il quadro umano d’assieme che si viene determinando, oppure c’è il caso del giornale Lotta comunista (numero di febbraio 2020) che dedica un articolo a ciò che chiama “Virus della superstizione” definito una “gaglioffa speculazione elettoralistica”, confermando così, oltre ad un certo cinismo, il passaggio del suo marxismo dalla scienza alla fantascienza. Unica notevole e lodevole eccezione, a nostra conoscenza, è rappresentata dalla riflessione d’assieme sull’epidemia e dalle azioni solidali per contrastarla avviate dai Centri sociali del nord-est. Gli atteggiamenti prevalenti a sinistra fanno il paio ed aggravano l’indicibile settarismo o la spocchia mostrata da quasi tutti questi raggruppamenti verso le sardine e la semplice radicalità del loro messaggio. Si tratta purtroppo del tragico compimento di una lunga parabola di chi ha continuato a credere nel riscatto politico o alla possibilità di una nuova politica. Purtroppo così non è: la politica, anche quella democratica in tutte le sue sfumature e compresa quella che si proclama rivoluzionaria e/o comunista, è un affare di Stato. In quanto tale radicata nell’uso della violenza e nella predisposizione e preparazione alla guerra (persino contro il virus l’hanno dichiarata la guerra non rendendosi conto del paradosso). Qualsiasi pratica politica comporta l’allontanarsi dall’umanità e dai suoi tratti più essenziali, il non comprendere o il disinteressarsi della centralità del mondo interno. Alla fine la politica, tutta la politica, torna alle sue scaturigini prime. Dietro la maschera svela le sue perenni origini e vocazioni belliche, coercitive e repressive. La prova non sta solo nei conflitti armati ma nella permanente offensiva contro le donne, nel razzismo popolare e statale, negli intenti biopolitici e tecnologici di controllo e perversione della comunicazione e delle scelte umane; e nel fatto che ogni soggetto politico cerca invariabilmente di prevalere sugli avversari di turno attraverso la sopraffazione, l’inganno, lo scontro.
La ragione raziocinante dei potenti oppressori, nelle sue differenze che vanno sfumando, è divenuta per tutti la tragedia dell’irrazionalità umana. Si dipana in ogni dove come incomprensione della specie a cominciare dalla rimozione del genere femminile che la crea, la cura e l’accresce.
-Un crocevia esistenziale-
Nell’urgenza del momento ed oltre avvertiamo di essere di fronte ad un crocevia. Prioritario è contenere e sconfiggere l’epidemia ma mentre ci proviamo l’assieme delle nostre predisposizioni intime è messo alla prova; al tempo stesso lo sono gli assetti pratici dell’esistenza e ci si interroga sul dopo.
Guardiamole le diverse direzioni possibili.
C’è la strada del “nulla sarà più come prima”, riproposta da giornalisti e politici poveri di immaginazione, ricetta in apparenza insignificante ma in effetti fatalista e quindi mortificante delle nostre capacità elettive. C’è, gettonatissimo, il mantra che predica “il ritorno alla normalità”. Mah: normalità? Quand’è che cominceremo a capire che la loro normalità non esiste? Non è umanamente normale la guerra permanente, la violenza contro donne e bambini, la ferocia xenofoba e razzista, la società sempre più massificata e ossessiva, estranea e pericolosa. C’è allora la speranza virtuale: ma sì, rifugiamoci nel web, intossichiamoci di notizie false o distorte, forniamo i nostri dati personali e trasformiamoli in una merce, inventiamoci rapporti effimeri ed ingannevoli, compromettiamo le nostre capacità cognitive, smettiamola di affaticarci a pensare con la nostra testa e i nostri tempi affidandoci agli elettrodomestici; poi però non ci lamentiamo di ritrovarci più poveri e deboli umanamente… C’è il grido della ribellione, la conflittualità permanente modello “gilet jaune”, che promette qualche scarica di adrenalina e produce una crescita esponenziale di frustrazione ed impotenza a pensare positivo. Viceversa c’è il rifugio ulteriore nel privato, ovvero continuare nella condizione di cattività che stiamo forzatamente sperimentando in questi giorni. C’è la solita formuletta che recita “la vita continua” e quindi propone rassegnazione e sottomissione in attesa che altri virus e guerre autentiche di svariato tipo, ordine e grado ci colpiscano.
Oppure c’è la possibilità ed il diritto, addirittura la necessità, di inventarsi un’altra vita, la nostra vita, più degna di essere vissuta e goduta anche affrontandone le difficoltà. Si può concretare questa possibilità se si fuoriesce dalla tempesta emozionale che già imperversava prima ed ora si è aggravata e rischia di cristallizzarsi diventando endemica: tanti ne sono preda.
Proviamo a riflettere non fermandoci alle prime impressioni, riprendiamo il controllo delle nostre fantastiche risorse mentali. Perché altrimenti le facoltà già maltrattate si annebbiano. L’intelligenza sferraglia come un meccanismo arrugginito o si paralizza per la paura invece di elaborare nitidamente le intuizioni avvertendoci delle possibilità e dei pericoli. La memoria si ferma all’immediato oppure rincorre tragedie passate, invece di ripercorrere i passi del nostro cammino e di ricordare le grandi sfide vinte dall’umanità, e da ciascuna/o di noi, anche nei momenti più tristi e malgrado padroni e governanti. La creatività si limita ad aprire una finestra e cantare una brutta canzone che, sfidando la scaramanzia, racconta “siam pronti alla morte”, invece di scatenare le nostre intenzioni teoretiche ed affettive per preparare la riscossa e progettare quanto siam pronti alla vita. La ragione si avviluppa nel calcolo delle probabilità e del tempo di fine epidemia senza averne evidenze invece di reperire e vagliare i dati fondamentali ed assemblarli con cautela valutando le linee di tendenza e le possibilità reali. Il sentimento spesso precipitato in odio o, comunque, rimpicciolito nella pura dimensione emozionale diventa timor panico invece di elevarsi finalmente per dare un senso all’amore per l’umanità e la vita stessa, e così ritrovarsi nell’amore degli amori, degli amici e di noi stessi. Cioè trovare il coraggio.
Già, perché chi ama la vita tutta, in tutte le sue manifestazioni, può trovare il coraggio necessario di sé e degli altri e la via giusta in questo crocevia.
-Riscoprirci più e meglio umani-
Molti, trascinati dall’umanissimo ma non elaborato bisogno di tornare a casa o di incontrarsi, si sono messi in viaggio o si aggirano per le città, mettendo così a rischio se stessi e i propri cari. Comprensibile ma inaccettabile. Un conto sono le uscite individuali indispensabili per bisogni essenziali, tutt’altro sono le trasferte moltitudinarie e lo scorrazzare in comitiva. Ribadiamolo: è necessario convincerci e convincere le persone alla massima attenzione nei comportamenti, criticando atteggiamenti di irresponsabilità sociale e relazionale che purtroppo sono espressione della crisi di ragione sentimentale non meno che del disfarsi crescente delle società statali. Al tempo stesso rifiutiamo e condanniamo gli eccessi repressivi o intimidatori da parte delle istituzioni verso la gente comune. Sappiamo che certe movenze autoritarie possono attecchire facilmente in un contesto di fragilità o degrado coscienziale accentuato, come quello italiano. Inoltre l’ostilità gratuita o l’accanimento legalitario nei confronti di persone palesemente in movimento per necessità senza costituire un pericolo non aiuta affatto l’impegno collettivo contro il virus e rischia di fomentare crisi di nervi massive.
È un segnale confortante che in tanti dimostrano di assumere e praticare un principio di responsabilità che scaturisce da una positiva scossa altruistica e può crescere e radicalizzarsi in termini affettivi e morali. Ci rapportiamo a un numero crescente di donne ed uomini di ogni età, di diversa estrazione e collocazione, che ci restituiscono e recepiscono questo spirito. Da loro riceviamo la spinta ulteriore a svolgere, precisare e rendere più coerente il nostro impegno umanista socialista, ed a loro lo offriamo. La fondamentale opera di convincimento, ascolto ed accompagnamento che stiamo conducendo punta ad un’attività dello spirito non alla pura passività. Curarsi e curare implica certamente prudenza, cautela, rispetto e spiegazione delle regole note, ma questo è solo l’inizio. Abbiamo bisogno di una forte, convinta e costante mobilitazione delle nostre energie essenziali migliori.
Nel momento più buio della decadenza possono brillare le luci di modi diversi di concepire e condurre la vita. È il tempo di riscoprire ed elaborare le intenzioni concrete che ci animano. Innanzitutto la capacità di rappresentare la vita globalmente, di immaginarla, progettarla, anelarla. Capacità che alberga in profondità in ciascuna/o di noi ma che spesso non possediamo, affidandola o appaltandola a palazzi lontani e freddi. Eppure ne sentiamo il calore e la potenza nei sentimenti che insorgono verso altre persone, verso il resto dell’umanità, verso altre specie, verso la natura tutta ed è proprio di questo che possiamo e dovremmo fare teoria e cultura. Possiamo intuirne l’importanza cruciale, proprio ora che fronteggiamo la minaccia virale, come salvaguardia, crescita e cambiamento possibile. Sta in noi e ad ognuna/o di noi interpretare la crescita, l’amore, la creazione vitale cui siamo predisposti e che sentiamo urgere, forse ancora incompresa. Sta a noi assieme: sentendoci, incontrandoci (in sicurezza, of course), ascoltandoci, confrontandoci, ritrovandoci anche a distanza. Ci accorgeremo così della straordinaria similitudine che percepiamo nelle relazioni e nelle collettività scelte e della non meno stupefacente diversità di cui siamo protagonisti in ogni passaggio della nostra soggettività. Scopriremo così quanto tendiamo alla vita in maniera irrefrenabile ma dobbiamo imparare a farlo e persino la tragedia incombente ci sollecita in questo senso.
Specialmente adesso è più possibile finalmente imparare a riconoscere e scegliere il bene e il male. L’attualità dei valori morali ed etici da riconquistare e rifondare, da impersonare e sperimentare è irrinunciabile. Dentro e fuori di noi avvertiamo quanto riguarda la prossimità o la distanza con le altre e gli altri ad ogni livello, dal più semplice al più complesso. Quindi le protagoniste e i protagonisti di una risorgente ed appassionata ragione sentimentale possono rivelarsi e ricongiungersi come soggetti a tutto tondo. Persone che sono, rappresentano ed agiscono in relazione ed assieme. Lo sperimentiamo concretamente negli scambi interpersonali con tante amiche ed amici, nelle squadre de La Comune, nella Scuola internazionale, nella distribuzione del giornale, nella ricerca teoretica. Lo verifichiamo particolarmente nella campagna di autofinanziamento che anche in questi giorni così complicati continua a svolgersi dimostrando la qualità e la coerenza delle/i nostre/i compagne/i ed il valore e la generosità di tante e tanti che ci donano denaro ma soprattutto convinzione e determinazione per la nostra opera totalmente indipendente. Intravediamo e saggiamo il senso di poter essere più e meglio umani dedicandoci alle altre e agli altri. Il progetto e il programma, l’idea ambiziosa e la pratica modesta e concreta di quella comunanza libera ed alternativa da cui traiamo origine e prendiamo il nome, appaiono sempre più attuali, concreti, veri, utili, liberi, benefici, belli e possibili.
23 marzo 2020