Il 21 Aprile, la rete auto-organizzata di segnalazioni di soccorso “AlarmPhone” riceve una richiesta di aiuto da una barca in difficoltà, con a bordo più di 100 profughi in fuga dalla Libia. Le autorità statali della zona (Italia, Malta, Libia, l’agenzia Frontex) vengono informate. Ma tutte negano il soccorso. Allora, senza coordinamento statale, per la prima volta da anni, navi mercantili si uniscono generosamente alla nave umanitaria “Ocean Viking” della ONG “SOS Mediterranee” nella ricerca dei dispersi. Malgrado ciò, il 22 Aprile i soccorritori trovano solo cadaveri.
Le ONG sono nette: “Non è stato un incidente. […] Potevano essere salvati ma tutte le autorità consapevolmente li hanno lasciati morire in mare” (Alarm Phone; Sea-Watch). Le agenzie ONU che si occupano di immigrazione confermano. Intanto, Frontex e Tripoli negano, il truce Salvini attacca ancora le persone solidali, e il Governo italiano fa di nuovo accordi coi torturatori libici, la cui “guardia costiera” è equipaggiata e addestrata dall’Italia e controllata dalla Turchia.
Questa tragedia ribadisce che non ci si può affidare agli Stati e alla politica per la sicurezza e la salvezza della vita umana, perché essi sono i principali responsabili di queste morti, da essi volute e attivamente perseguite. Tra l’altro, sarebbe facile fornire visti d’ingresso o organizzare corridoi umanitari, per permettere alle persone di giungere qui, legalmente e in sicurezza, senza pagare scafisti e “passeurs”.
Affidarsi agli Stati è, perciò, in contraddizione con la solidarietà umana, e la indebolisce. Pertanto, è ancora più urgente che le persone di buona volontà e le realtà solidali si uniscano per la libertà di circolazione e l’accoglienza umana senza condizioni.