Democrazia e bombe

Come cerca la democrazia israeliana di uscire dall’impasse di quattro elezioni generali in meno di due anni? Con un bombardamento su Gaza e centinaia di morti. L’accordo annunciato – mentre scriviamo, ancora da sottoporre al voto del parlamento – prevede un governo di coalizione con otto partiti tra i quali, per la prima volta, una formazione “arabo-israeliana”, cioè palestinese, e un esponente dei Fratelli musulmani come viceministro agli Interni. Il cinismo della politica in versione democratica non conosce limiti: l’accordo con l’occupante sionista è siglato quando ancora il fumo delle bombe non si è posato sulle macerie di Gaza.

Non si tratta di un passo verso la ricomposizione di una società lacerata, come si vorrebbe far credere. È l’intento di approfondire il solco tra le diverse componenti palestinesi, tra coloro che vivono in Israele, in Cisgiordania, a Gaza e nella diaspora; un tradimento e una spallata ulteriore alla causa palestinese dunque alla possibilità, già così ardua, di intravedere un futuro di equa e pacifica convivenza: gli imbrogli politici, come le bombe, marciano nella direzione contraria.