Come in tutti i precedenti vertici internazionali sul clima, anche a Glasgow si tratta a carte truccate. Nel conteggio delle emissioni di gas serra che contribuiscono al surriscaldamento climatico non si includono quelle prodotte dal settore militare sia nelle fasi di produzione e di gestione che di uso delle armi. Non compaiono le industrie del settore, le materie prime necessarie, le conseguenze legate all’uso. Mike Berners-Lee, direttore di Small World Consulting e autore di How Bad are Bananas? The Carbon Footprint of Everything ha dichiarato che: “I costi umani diretti delle guerre sono così tragici che pensare agli impatti ambientali e climatici pare quasi frivolo o insolente. Ma le moderne forze armate e le loro operazioni belliche sono voraci divoratrici di energia ed emettendo carbonio riscaldano il clima, condannando gli umani anche oltre e dopo la fase della guerra”.
Il settore militare inquina, contamina, trasfigura, rade al suolo, ma soprattutto uccide.
Le attività militari sono fra le più energivore del pianeta: solo il Pentagono e le sue basi sparse in tutto il mondo emettono oltre il 5% dei gas serra. Solo 35 paesi consumano più energia del Pentagono ed emettono più gas serra. Ma la percentuale sarebbe molto più alta se si comprendessero i costi energetici di produzione delle armi, il consumo di combustibili fossili e di materiali da parte dei privati contractors e infine l’enorme peso della ricostruzione di quanto distrutto dalle guerre. Le stime più verosimili parlano di almeno il 10%. Si tratta però di stime a spanne: i dati, infatti, non sono accessibili. Questa esenzione deriva dagli accordi degli anni Novanta legati alla ratifica del Protocollo di Kyoto del 1997 sulla riduzione delle emissioni climalteranti. L’amministrazione USA, con alle spalle la potente lobby delle armi, pretese questa esenzione. In quell’occasione l’allora presidente Bush non firmò comunque il trattato ma le esenzioni sono rimaste. Ovviamente non solo gli USA erano e sono interessati a tener fuori dai conti industria militare e guerre. È vergognoso come questo tabù venga rispettato dalla maggior parte degli attori, perfino dalle tantissime ong, dalla maggior parte degli attivisti ambientalisti e anche dai sostenitori della stessa Greta Thunberg. Si ha forse paura che porre questa questione possa irritare i capi di Stato e bloccare gli eventuali accordi che seppur parziali vengono considerati positivi? E infatti è proprio questo il problema: ci si continua ad affidare agli inaffidabili, già responsabili dei disastri ambientali in corso.