Il secondo turno delle elezioni presidenziali ha portato con sé la buona notizia della sconfitta di José Antonio Kast, un reazionario nemico della libertà delle donne e degli immigrati, sostenitore della repressione statale. Sono state le elezioni con la più alta partecipazione, segno della volontà di tanti di fermare questo pericoloso personaggio: la sua vittoria avrebbe ingrossato il club dei presidenti neofascisti nel continente, al fianco di Bolsonaro, e avrebbe dato nuovo impulso a retrogradi e razzisti.
Ciò non significa affatto che la politica democratica stia risolvendo la propria crisi. Il vincitore della competizione elettorale, Gabriel Boric, è un giovane socialdemocratico da tempo in trattative con il governo di centrodestra di Sebastián Piñera e con altre forze politiche tradizionali. È anche il candidato che si è dimostrato il più capace nel capitalizzare strumentalmente le conseguenze del soprassalto di dignità delle mobilitazioni del 2019, un significativo movimento di proteste contro le diseguaglianze del regime democratico cileno che ha però sofferto di importanti limiti di sviluppo indipendente. In piena pandemia, le mobilitazioni sono state canalizzate verso le promesse di una nuova costituzione e verso la nascita di una assemblea costituente, un ambito disseminato di negoziati tra partiti politici.
Che la politica inganni la gente e semini trappole nella loro ricerca di miglioramento non sorprende, soprattutto quando questa ricerca è confusa, molto condizionata dalla decadenza e dalla mancanza di punti di riferimento alternativi. Più importante e interessante è cogliere in che modo si è attivata una memoria storica da parte delle maggioranze popolari contro Kast e contro il pinochettismo* non ancora completamente sconfitto: un motivo, questo, di speranza per il futuro.
*il riferimento è all’eredità della sanguinosa dittatura di Augusto Pinochet