Che cosa pensi del futuro? Ecco una domanda inevitabile per ogni donna ed ogni uomo, a maggior ragione in questi tempi di endemiche incertezze. Un verso antico, un vecchio film e nuovi tecno-mestatori invitandoci a “cogliere l’attimo” provano a distrarci da questo imperativo categorico della coscienza: inutilmente, perché vivendo ogni momento comunque andiamo oltre. Speranze e paure di ciò che potrà accadere ci rendono umani forti e fragili, saggi e presuntuosi, audaci e timorosi, possibilisti e rassegnati. Il futuro ci appartiene e ci sfugge. È l’idea del domani che sorge dall’oggi e ci riporta a ieri. Talmente intima la sua attesa eppure riguarda le altre e gli altri. Pensiero individuale della relazionalità e della collettività possibile perché nessuna aspirazione, nessuna preoccupazione è mai solo personale. Come le/gli altre/i pensano all’avvenire riguarda in un modo o nell’altro le nostre aspettative. Di più: la nostra medesima idea del futuro è inevitabilmente condizionata dal contesto sociale e culturale, presente e passato, in cui siamo immersi.
Loro, i potenti oppressori della terra, come pensano e preparano il futuro? Loro che consumano il presente, rabbiosi e stanchi, sguazzando e sfruttando anche le calamità naturali. Durante la pandemia i ricchi si sono arricchiti ancor di più e i poveri sono sempre di più e sempre più poveri. Loro per cui la decadenza globale di cui sono tristi protagonisti ed approfittatori è la normalità. Loro che mistificano o cancellano il passato e con esso le malefatte dei predecessori ma anche le meraviglie compiute dalla gente comune. Il loro futuro, come del resto il presente, è basato sulle macchine e le macchinazioni. Macchine e macchinazioni per fare la guerra ed opprimere, per arricchirsi impoverendo l’umanità, per accrescere i propri averi controllando, asservendo ed escludendo gli esseri, fino a negare l’esistenza dei due generi della nostra specie ed architettare l’orrendo incubo della commistione cyber-corpi umani. Loro che vivono del disprezzo, dello sfruttamento e della privazione della vita altrui.
Invece noi persone comuni come possiamo concepirlo il futuro? Confusi e speranzosi, inquieti e desiderosi, preoccupati e sognanti proviamo ad immaginarlo umanamente amando la vita. Riconoscendo ed affermando l’umanità che palpita in noi e negli altri. Sapendo che la naturalità ci costituisce cominciando dal genere femminile che in sé porta la vita prossima ventura della specie tutta e quindi anelando ad una cultura affermativa della libertà condivisa. Scoprendo le meravigliose potenzialità della nostra unitarietà psico-fisica senza trascurarne limiti ed incertezze. Rivalutando le inesauribili possibilità della coscienza espansiva ed educandoci alla sua propensione morale ed etica: pensando di più il bene vissuto e possibile da progettare e realizzare non facendosi sopraffare dal male e dai mali che ci affliggono ma fronteggiandoli. Sperimentando che la miglior via per la realizzazione individuale può essere l’altruismo, la ricetta per la felicità possibile ha come ingrediente fondamentale la generosità.
Noi siamo persone comuni che cerchiamo di formarci immaginando un futuro straordinario “in comune”. Sappiamo che non si può prescindere dalla società in cui stiamo ma non accettiamo la sua crescente decadenza con la cappa di oppressione ed estraneità dilagante che comporta, né possiamo più credere in una sua trasformazione positiva radicale dall’alto. Allora, pur stando in questa società proviamo ed impariamo ad essere diversamente ciascuna e ciascuno, in relazione ed assieme, progettando e costruendolo il nostro futuro, vivendo il presente, imparando dal passato, con impegno, passione, convinzione e soddisfazione ma non senza sofferenze, errori e contraddizioni.
Dunque vorremmo parlarne, ascoltando di te e dicendoti di noi, confrontarci sul futuro possibile a cui stiamo pensando perché il tuo ci interessa, anzi ci riguarda come forse il nostro riguarda anche te.