Già quattro chiese cattoliche sono andate a fuoco nelle ultime settimane, ma il responsabile dei roghi non è il caldo eccezionale che sta flagellando il paese. È probabile che si tratti dell’ultimo capitolo – forse si tratta di gesti di rabbia, o invece di atti finalizzati a confondere le prove – di una storia lunga, raccapricciante e dolorosa: il ritrovamento, nei pressi di collegi cattolici sparsi in tutto il paese, di fosse comuni con i poveri resti di centinaia di bambini. Strappati alle loro famiglie affinché dimenticassero la propria origine, la lingua e la cultura dei popoli originari, tra il 1863 e il 1998 oltre 150 mila bambini sono stati allontanati dai loro affetti e dal loro ambiente, abusati, affamati, preda del freddo e della sporcizia. In circa 6 mila non sono mai tornati a casa, ma ciascuna e ciascuno di loro ha portato con sé per sempre le ferite fisiche e morali.
Come altri paesi – l’Australia nei confronti degli aborigeni, ad esempio – il Canada ha applicato una feroce politica di assimilazione, cercando semplicemente di cancellare i popoli originari. Al di là delle vuote affermazioni di principio, queste sono le fondamenta su cui poggia lo Stato democratico, la sua costituzione materiale, e non solo per quanto riguarda questa tragica vicenda: al termine della Seconda guerra mondiale, ad esempio, il diritto di voto era concesso solo ai reduci e solo dietro formale rinuncia al proprio status di “indiani”. Sulla vicenda dei collegi cattolici, la Commissione per la verità e la riconciliazione ha svolto un’indagine durata sette anni al termine della quale ha definito la politica di assimilazione un “genocidio culturale” e ha stilato un lungo elenco di raccomandazioni. A distanza di un decennio, esse sono state quasi tutte disattese. Il governo ha evidentemente ritenuto che fosse sufficiente porgere le proprie scuse e ha tirato dritto.