Da sud a nord, da Brighton a Newcastle passando per Londra e Liverpool, centinaia di manifestazioni spontanee in tutta l’Inghilterra hanno fermato i seminatori di odio razzisti e fascisti che da giorni avvelenavano l’aria sull’Isola. È un segnale forte e limpido di reattività, un esempio da raccogliere rifiutando ogni rassegnazione; è la dimostrazione di quanto sia sempre possibile reagire e di farlo in prima persona e assieme. La tragica vicenda che ha scosso il Paese a fine luglio – la strage di ragazzine compiuta a Southport da un diciassettenne inglese di origine ruandese – è stata utilizzata dall’estrema destra per scatenare la violenza islamofoba e razzista. Come da copione, il web ha diffuso menzogne e odio sulla natura del crimine eLeggi Tutto

Tre anni dopo il colpo di stato, la popolazione soffre e resiste. Nonostante la durissima repressione scatenata dall’esercito, negli ultimi mesi esso ha perso il controllo di ampie fette di territorio a causa dell’offensiva combinata delle guerriglie separatiste e dell’opposizione democratica. Il Myanmar – la Birmania dell’epoca coloniale britannica – è un paese di oltre 50 milioni di abitanti che compongono un ricco mosaico etnico-linguistico e religioso segnato da discriminazioni contro le minoranze e da decennali lotte di autodeterminazione. La sete di libertà e le coraggiose mobilitazioni popolari (a più riprese soffocate nel sangue) avevano costretto la giunta militare ad alcune concessioni ma la breve parentesi democratica guidata da Aung San Suu Kyi non ha infranto i tradizionali assetti di potere:Leggi Tutto

La paventata escalation è sotto gli occhi di tutti: la guerra si espande nel Vicino e nel Medio Oriente seminando morte e distruzione, proiettando scenari e conseguenze sul resto del mondo. L’epicentro è a Gaza, dove l’esercito israeliano conduce senza sosta una pulizia etnica contro la popolazione palestinese che ha già causato oltre ventimila vittime, tra le quali un numero altissimo di bambini e di neonati. Ma il conflitto è ormai ampiamente tracimato oltre i suoi confini iniziali e investe l’intera regione. Negli ultimi giorni la crisi si è ulteriormente aggravata, estesa e complicata. Sul fronte libanese, a causa dell’attentato mirato con cui Israele ha ucciso Saleh al Arouri, esponente di primo piano di Hamas, e della puntuale risposta di HezbollahLeggi Tutto

Poche ore fa un potente terremoto ha scosso la terra provocando migliaia di vittime, crolli e danni in una vasta regione che va dalla Turchia meridionale alla Siria, facendosi sentire ancor più lontano, a Beirut e a Cipro, con il pericolo poi rientrato di uno tsunami nel Mediterraneo. Il bilancio delle vittime è purtroppo in crescita e i sopravvissuti rimasti senza un tetto nelle zone più montuose devono in molti casi affrontare neve ed intemperie senza neanche un ricovero. L’emergenza, motivata da un evento naturale come il sisma, è enormemente aggravata dalla precarietà che già connota l’esistenza di popolazioni in larga parte sofferenti a causa della guerra: di qua e di là del confine tra Siria e Turchia vivono da anniLeggi Tutto

Centinaia di alti ufficiali statunitensi in pensione – tra cui generali e ammiragli – hanno lavorato per gli eserciti di Stati stranieri: è quanto rivela un’inchiesta del Washington Post che ha citato in giudizio l’Esercito, l’Aeronautica, la Marina, il corpo dei Marines e il Dipartimento di Stato. Sono tanti i paesi che hanno stipulato sontuosi contratti con ex alti ufficiali, ingaggiati per rafforzare i propri eserciti: dall’Arabia saudita alla Libia passando per Qatar, Azerbaijan, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Turchia e perfino Russia. Il caso più eclatante per numero di persone coinvolte e per gravità riguarda l’Arabia saudita. Al Washington Post collaborava Jamal Khassoggi, il giornalista ucciso e fatto a pezzi per ordine di Mohammad bin Salman, uomo forte saudita. Ma soprattutto,Leggi Tutto

A quasi un mese dal loro inizio, le manifestazioni continuano e si allargano in tutto il paese, coinvolgendo settori più ampi di popolazione nonostante la feroce repressione che ha provocato ormai oltre 200 vittime. Ne sono avanguardia nitida le donne, scese in piazza contro il barbaro omicidio di Mahsa Jina Amini scandendo lo slogan “donna, vita, libertà”, capaci di infondere in altri il coraggio di unirsi a loro grazie a un esempio contagioso. Scioperi e raduni hanno via via coinvolto studenti e lavoratori della scuola, poi avvocati e giornalisti, lavoratori dei bazar e operai, perfino nello strategico settore dell’industria petrolifera. Negli slogan e sui muri la denuncia si allarga dai delitti degli apparati repressivi alla repubblica islamica nel suo insieme finoLeggi Tutto

L’accordo firmato dai governi turco, svedese e finlandese sotto l’alto patrocinio di Washington e di tutti i suoi alleati europei è un’infamia: esso preannuncia nuove guerre e tratta come una merce il popolo curdo, cioè circa 25 milioni di persone. L’accordo sblocca il veto turco all’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia; in altre parole, contribuisce a rafforzare l’alleanza militare più bellicosa al mondo – non l’unica ma certamente la più potente – responsabile sin dalla sua fondazione di guerre combattute e minacciate. Per ottenere questo risultato – pericoloso per tutte le persone comuni, anche per coloro che vivono in Svezia e Finlandia, non più paesi neutrali ma ormai prima linea – sono state accolte tutte le richieste avanzate dal presidenteLeggi Tutto

Lo sciopero della fame dei diretti interessati e le manifestazioni di solidarietà hanno per il momento sventato un efferato crimine di Stato: ieri sera, all’ultimo istante, è stata sospesa la deportazione di un primo gruppo di profughi dalla Gran Bretagna verso il Rwanda. Deportazione, traffico di esseri umani: come altro si può definire l’intento del governo britannico di “dislocare” in altro continente (secondo il linguaggio demo-ipocrita) i richiedenti asilo? Di spedire come pacchi postali a migliaia di chilometri di distanza persone approdate sull’Isola dopo esser sfuggite a guerre e persecuzioni, costrette ad attendere lì probabilmente per anni l’esito delle loro richieste di asilo? È una norma del tutto legale che, stando alle parole di un ministro della Corona, gode di unLeggi Tutto

Mercoledì scorso Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese di Al Jazeera, è stata assassinata a sangue freddo da soldati dell’esercito israeliano a Jenin; un suo collega è stato ferito alla schiena. Si tratta di un omicidio deliberato ed efferato – con lo scopo evidente di tacitare una delle voci più conosciute e stimate dell’emittente qatarina – che si inscrive in una fase di intensificazione delle violenze e delle intimidazioni nei confronti dell’informazione. Di fronte agli spudorati tentativi di insabbiamento del governo di Tel Aviv (così definiti, tra gli altri, sia da Human Right Watch che da B’tselem, importante organizzazione israeliana per i diritti umani) perfino il segretario generale dell’Onu è costretto a chiedere indagini indipendenti, che ovviamente non ci saranno: troppo estesaLeggi Tutto

Guerra chiama guerra, con evidente effetto epidemico. Nuovi conflitti si accendono all’ombra di quello ucraino mentre altri, vecchi e mai sopiti, riacquistano vigore; è il caso di quello, ormai quasi secolare, di Israele contro i palestinesi. Nel mese di aprile si sono registrati numerosi scontri in tutto il paese con decine di morti; c’è poi stata la provocazione sionista alla Spianata delle Moschee con centinaia di feriti. Infine, il consueto e tragico scambio: razzi da Gaza su Israele, bombardamento di Israele su Gaza. È indispensabile ribadire che l’origine prima del conflitto e le responsabilità storiche risiedono nell’occupazione israeliana della Palestina e nell’obiettivo storico del sionismo di cancellare ogni resistenza e diritto alla vita del popolo palestinese. Ma ciò non assolve inLeggi Tutto