Il tragico bilancio di distruzione e morte di persone e di tante altre specie vittime degli incendi di foreste e praterie europee, americane e tropicali come della tundra siberiana, ha responsabilità ben precise.
Gli stati, le società estrattive, immobiliari e dell’agrobusiness, legali e mafiose, con la loro logica del profitto, il gigantismo sociale che in spazi limitati ammassa milioni di persone sempre più aliene agli ambienti naturali in cui vivono e l’antropocentrismo distruttivo causano da lungo tempo il riscaldamento globale, il saccheggio e il degrado ambientale dei territori, esponendo così maggiormente tutti e tutto agli incendi fuori controllo. La loro colpevole irresponsabilità non gli permette di prevenirli e contrastarli efficacemente. La situazione peggiora ancor più laddove queste logiche sono assunte anche da settori delle società dominate dagli stati, che mettono in atto pratiche irresponsabili esponendo ancor più al pericolo di incendi. Oltre ai piromani, c’è anche chi, come in Italia, li causa per speculare e rendere edificabili i suoli, metterli a coltura o a pascolo.
Diversi esempi dimostrano che quanto sta avvenendo non è un destino inevitabile, che è possibile assumere altre logiche e pratiche per difendere la vita, rispettare la natura e difendersi quando diventa minacciosa, grazie alla profonda conoscenza dei territori e alla creatività umana. In Australia, uno dei luoghi al mondo più soggetto agli incendi, le popolazioni aborigene perseguitate e discriminate dallo Stato da sempre praticano la tecnica degli abbruciamenti controllati (cultural burning) per difendere villaggi e foreste. Le foreste e le torbiere della provincia di Riau, nell’isola indonesiana di Sumatra, sono tra le più colpite dagli incendi, spontanei e dolosi che si verificano tra l’estate e l’autunno. Qui, il villaggio di Dosan, circondato da piantagioni di palma da olio, dal 2012 non registra incendi, grazie all’inventiva e agli sforzi della popolazione locale che ha cominciato a realizzare piccole dighe per inondare e mantenere uno strato di pochi centimetri d’acqua sui suoli, impedendo così lo sviluppo e la propagazione degli incendi: un esempio innovativo adatto alla vegetazione locale sempre più emulato da tanti altri villaggi della zona. Qui, gli agricoltori locali hanno anche rinunciato alla pratica del taglia e brucia per strappare terra alla foresta facendo spazio alle palme da olio. I territori sotto il controllo delle popolazioni indigene, che coprono un quinto dell’Amazzonia brasiliana, costituiscono una barriera estremamente efficace alla deforestazione e agli incendi. Più di 300 studi pubblicati negli ultimi due decenni dimostrano che i tassi di deforestazione in queste zone, non solo in Brasile, sono significativamente più bassi. Le immagini satellitari mostrano come, in molti casi, al limitare di queste aree la foresta sia molto meno degradata.