Mille giorni non sono bastati alla monarchia saudita, un regime tra i più oppressivi, patriarcali, sanguinari e oscurantisti al mondo, per piegare Loujain al-Hathloul: dopo quasi tre anni di carcere duro, di minacce, di ricatti e di torture, Loujain è finalmente tornata in libertà. Non ha ritrattato, al contrario. In prigionia non ha smesso di lottare e di rivendicare la propria dignità e libertà di donna, rifiutando di confessare crimini mai commessi e dando vita ad uno sciopero della fame che ha infranto il muro del silenzio mobilitando la solidarietà internazionale. Animatrice del movimento Women to drive, aveva deliberatamente infranto il divieto per le donne di guidare, di viaggiare e di prendere le più elementari decisioni senza la tutela maschile, norme in vigore in Arabia saudita, attenuate solo da poche settimane e solo in minima parte.
Si vorrebbe oggi attribuire il merito della scarcerazione alle pressioni degli Stati democratici ed in particolare alle intenzioni nel neopresidente statunitense Biden. È vero il contrario. Nel consesso degli Stati, l’Arabia saudita gode di una popolarità proporzionale alle sue smisurate ricchezze e ai suoi numerosi crimini per i quali gode di totale impunità. Se Loujaun è libera, è piuttosto grazie al suo coraggio e alla solidarietà che ha saputo suscitare.