Antropologia della decadenza le prime radici e l’ultimo impero/10

TRA CROLLI E RISCATTI

“In fin dei conti , la creatività umana trova la sua fonte nella vita – e nel fatto incredibile che questa vita si accompagna ad una missione precisa: resistere e proiettarsi verso l’avvenire, costi quel che costi. Potrebbe rivelarsi utile pensare a queste origini modeste e tuttavia potenti allorché ci confrontiamo con l’instabilità e l’incertezza del presente.”

Antonio Damasio *1

Una visione della nostra esistenza, basata su un approccio antropologico, permette, richiede e sollecita il libero sviluppo delle coscienze. Abbiamo la capacità e la possibilità di concepire il nostro modo di essere nel mondo con e tra le altre e gli altri come protagonisti unici ed inimitabili ma non perciò isolati o separati. La coscienza di sé è una qualità irriducibile che riguarda ogni essere umano per la sua stessa configurazione psico-fisica e si invera nella potenzialità di scegliere l’indirizzo del proprio destino. Certo ciò matura nella crescita e all’interno di determinate situazioni esistenziali che sono condizionanti, ma in nessun caso determinanti se si eccettuano patologie croniche di estrema gravità. Dovremmo imparare a riconoscere e sapere di questa formidabile possibilità e responsabilità: siamo artefici delle nostre vite, quindi possiamo cambiare e migliorare. La biologia ci insegna che l’assieme del nostro mondo interno coopera e punta alla nostra crescita e realizzazione, ma l’indirizzo che queste prenderanno dipende da ciascuna/o di noi. Registrare questa realtà non basta: bisogna sentirla e riconoscerla in proprio, pensarla e concepirla in prima persona. Si tratta di una potenzialità dinamica che cresce con noi, riguarda il modo in cui percepiamo l’input materno, assorbiamo o resistiamo alle diverse spinte soggettive, riconosciamo il contesto culturale e pensiamo al bene, insomma come ci raffiguriamo ed intendiamo noi stessi. Frutto dell’interagire delle diverse radici, la coscienza è la nostra radice più intima ed irriducibile, ciò che traduce il nostro mero esistere nell’essere pienamente umani. Si tratta dunque di un fantastico mistero perennemente in atto perché la coscienza filtra e viene condizionata da mille motivi grandi e piccoli, banali o straordinari. Tutti i nostri caratteri e stati fisici incidono sulla coscienza, così come ogni esperienza la influenza. Le nostre capacità mentali sono sospinte dalla coscienza ma ad un tempo ne risentono, talvolta ne vengono travolte o sconvolte e la condizionano, la mortificano o la esaltano. Perciò la coscienza è il modo del tutto personale con cui immaginiamo e proiettiamo il fantastico mistero della vita e diviene inevitabilmente essa stessa un mistero in atto di cui siamo noi, ciascuna/o di noi, protagonisti irriducibili. Dunque si tratta diciò che neppure la scienza può spiegare ma che colora, qualifica, arricchisce, proietta e potenzia le nostre vite: la coscienza, prima radice indomabile di noi stessi.*2

Questa meravigliosa virtualità degli esseri umani viene osteggiata e combattuta in modo sistematico dai poteri oppressivi e dogmatici. Entrambe le varianti fondamentali dell’oppressione: la democrazia formale e le dittature autoritarie decadendo peggiorano e in alcuni tratti si assomigliano. Mentre le democrazie al tramonto tendono ad esprimere governi dispotici, come già aveva paventato Tocqueville, le dittature in crisi, per esempio in Russia, o all’apparenza rigogliose come in Cina si cristallizzano ancor di più in autocrazie assolutiste. Le ideologie di riferimento o i loro rimasugli contemplano l’aggiramento, il nascondimento o la perversione dell’idea stessa di coscienza. Apparentemente il liberalismo democratico occidentale darebbe maggior spazio alla coscienza, ma in realtà è proprio la vacuità dell’idea della persona presentata come soggetto separato, solo, senza grandi speranze che riduce in modo drammatico la valenza della coscienza. È significativo che tanto l’individualismo esistenzialista alla Sartre quanto l’essenzialismo metafisico di Heidegger, due delle peggiori ideologie di maggior successo nelle élite del dopoguerra, conducono fatalmente alla liquidazione del potenziale liberatorio e affermativo della coscienza sottomettendola a logiche pessimiste o nihiliste. È significativo che il primo finirà per appoggiare il regime cambogiano di Pol Pot, una delle peggiori mostruosità della storia moderna, superato in questo dal secondo che addirittura aveva fatto attivamente parte del male assoluto incarnato dal nazismo. Le vicissitudini più nobili nel pensiero occidentale – con diverse varianti contraddittorie: da Hegel a Feuerbach, da Hume a J. S. Mill passando per Kant, fino ad arrivare ad Husserl – non sono giunte comunque a fornire un’impostazione filosoficamente sufficiente della questione cruciale della coscienza. Rintracciamo invece un messaggio di saggezza, confermato dai più accorti studiosi contemporanei, in un passaggio di quell’antico e modernissimo nostro maestro che è Giambattista Vico:” Conoscere significa infatti possedere il genere o la forma con la quale una cosa viene a essere, mentre invece abbiamo solo coscienza delle cose delle quali non siamo in grado di dimostrare il genere o la forma” *3. Quello che può apparire solo come un approccio scettico è in effetti un invito ad accettare l’esplorazione costante, appassionata e motivante, che scaturisce dal carattere più profondo ed enigmatico del nostro sentire e pensare. Spaventati da questa proprietà insondabile ma inarrestabile i custodi del fideismo oppressivo provano a rimuoverla, a nasconderla, ad affidarla all’istruzione coatta. Terrorizzati dall’istanza più intima alla libera volizione devono negarne o minarne il percorso che la caratterizza. Il processo di crescita, in cui insorge in ogni giovane laboriosa e scoppiettante la coscienza, viene minimizzato e al tempo stesso costretto, mistificato, corrotto, deviato dall’imposizione delle culture dominanti, padronali e guerresche, siano esse laicamente somministrate o religiosamente inculcate. Sarà così la società statale e/o l’illuminazione divina a cercare di soppiantare il percorso proprio, unico, irripetibile ed insostituibile, in cui dalla vaghezza del senso di sé insorge e fiorisce la pienezza dell’io. La nostra radicalità antropologica giunge così al culmine della sfida con la visione storico-determinista e giustificazionista degli oppressori che prova a privarci di ciò che ci contraddistingue, assieme alle altre radici, e ci permette di scegliere altri modi di concepire e vivere la vita. Siccome la congiura vessatoria non riesce ad estirpare la più intima e scandalosa libertà provano a silenziarla, ad addormentarla, a corromperla, o ad avocarla a sé aggettivandola come coscienza civica o politica; cioè ancora una volta scambiando una parte eventuale con il tutto cruciale. L’ultimo perfido agguato consiste nel provare ad orientarla e gestirla o addirittura a cercare di sostituirla in laboratorio con internet. Non ci riusciranno ma hanno fatto e potranno fare danni immensi: si propone a livello più alto un campo di impegno radicale – è proprio il caso!- per difendere la possibilità di scelta e di piena affermazione di ciascuna/o e di tutti: difendere la possibilità e il riconoscimento della coscienza, provare a suscitarla offrendo ed accrescendo la nostra. Coltivare questa radice, cominciando dalla conoscenza reciproca attenta, rispettosa e sincera, è premessa indispensabile per potersi confrontare seriamente sulle vicende della nostra vita affrontando le esigenze quotidiane e quelle epocali, dialogando sulle possibilità di riscatto e di affermazione contro le cappe, le trappole ed i lacciuoli oppressivi. È certo un’impresa complicata che però già nell’assumerla accresce le qualità individuali, le potenzialità relazionali, le risorse comuni.

La cultura: processo creativo costante o affare di Stato?

L’intreccio tra le radici antropologiche è un intrigo, affascinante e suscitante, ma ad un tempo inquietante. È lì che si incontrano le proprietà inalienabili della natura umana con le declinazioni diverse secondo tempi e modi, luoghi e scelte, o per dirla in breve con le culture. I due punti di vista, natura e cultura, si sono confrontati costantemente, forse a riprova dell’impossibilità di separarli. Discussioni infinite al proposito hanno attraversato la filosofia sin dall’antichità e nella modernità hanno contraddistinto i dibattiti tra gli antropologi. La stessa definizione di natura è problematica sin dal punto di vista semantico perché coinvolge immediatamente un punto di vista culturale. D’altra parte anche il termine cultura richiama una molteplicità di significati possibili: da quello inerente l’indirizzo della crescita delle facoltà, passando alla definizione di una persona istruita, per arrivare ad essere usato come sinonimo di civiltà*4. Le diatribe a riguardo si sono inasprite recentemente, nei gorghi della contemporaneità decadente, soprattutto per la pretesa emersa nell’area anglosassone di negare l’esistenza stessa della natura umana (come venga definita da costoro la natura prima non si sa). Secondo un’abitudine diffusa nelle province sfigate dell’impero decadente la cosa ha subito attecchito coinvolgendo in particolare certe sinistre che si sono lanciate in una feroce crociata negazionista dei tratti fondanti della natura umana, mentre farebbero bene innanzitutto ad interrogarsi sul significato che danno alla parola cultura e sui loro referenti in proposito. Abbiamo esplicitato il nostro punto di vista a riguardo in varie occasioni*5 ma adesso ci interessa esaminare la questione dal punto di vista dello sviluppo intrecciato delle radici, che probabilmente ci fornisce un buon posizionamento per esaminare il problema cui accennavamo. È fuor di dubbio che ogni aggregato umano abbia o tenda a fondare una propria cultura o sub-cultura come riflesso e riferimento generale al proprio modo di vivere e di comunicare, alla propria storia ed alle proprie aspirazioni. Siccome le tracce delle centinaia di millenni che sono state reperite nelle vestigia testimoniano, costantemente e chiaramente, dell’esistenza di culture dovunque ci furono insediamenti umani ed altrettanto evidentemente della loro differenziazione anche nella similitudine, possiamo trarre la conclusione che è proprio della natura umana avere una cultura ma non è immaginabile che ci sia una sola cultura per tutta l’umanità. Le culture sono una creazione, non solo appannaggio dell’umanità perché possiamo rintracciare motivi culturali di tipo diverso in altre specie che possiamo soltanto intuire empiricamente, mentre possiamo studiare gli approcci umani. Si tratta di una creazione costante ed esplicitamente rappresentativa di sé che al contempo ci svela la presenza delle radici. Ogni cultura porta connotante il segno del genere primo: le donne creano il tessuto sociale microscopico fondamentale per ogni aggregazione umana, hanno un ruolo linguistico, curativo ed educativo basilare per la crescita dei piccoli della specie ma non solo, sono state sin dai tempi più lontani le principali studiose e coltivatrici del mondo vegetale. Il genere femminile rappresenta un ruolo culturale fondamentale, ma in principio le donne sono anche rappresentate simbolicamente come icone più significative e belle da ogni cultura. Qualsiasi cultura nasce dal comporsi perenne delle soggettività, esprime l’individualità, sollecita la collaborazione, l’intendimento e l’apprezzamento dell’altro, costituisce il collante fondamentale e lo stemma distintivo per ogni collettività tramite gli equivalenti generali che la caratterizzano. La coscienza è la prima scintilla di qualsivoglia creazione culturale e al contempo si colloca all’interno della cultura in cui cresce per analogia, differenziazione o contrapposizione. Come vedremo in seguito, una cultura sintetizza, alimenta, propone e sostiene i valori che sorreggono una determinata collettività. È questo il suo potere fondamentale ma è anche il suo limite fatale: quando cominciano a decomporsi i valori di cui si ammanta, o non sono più riconoscibili nel vissuto di quella determinata comunità, si apre una crisi vorticosa e difficilmente riparabile. Di questo innanzitutto si tratta quando, per rimanere nell’ambito che meglio conosciamo, parliamo di crisi della civiltà occidentale.

Qualsiasi approccio alla vita richiede un riferimento culturale – di più, è un fatto culturale – e quindi necessariamente prende le mosse da una cultura d’appartenenza ma qui si presenta un’alternativa: si tratta di considerare se la cultura cui ci si riferisce soddisfi o meno le aspirazioni dei soggetti in questione. In termini più concreti: pensiamo alla cultura europea nella versione italica, che non è riducibile a Dante, Leonardo e Michelangelo – personalità assai diverse per il messaggio che ci hanno lasciato – né caratterizzata solo dal rinascimento, il risorgimento e la resistenza, vicende importanti ma certo non esaurienti di un panorama assai contraddittorio; vedi ad esempio, ancora spaziando: il radicamento del potere temporale del papato, le lotte fratricide, la sopravvivenza monarchica ed il fascismo storico con radici popolari ma anche tanti spunti positivi intellettuali e popolari largamente ignorati o sottovalutati. La domanda che si pone è: nel complesso per come percepiamo la nostra cultura di provenienza – di cui è parte il determinismo marxista – e per come è diventata, la riteniamo sufficiente e valida per le nostre aspirazioni o invece crediamo sia necessaria una ricerca, una contaminazione, una creazione culturale nuova che – rivendicando e rileggendo, anche ma non solo, personalità e vicende che hanno connotato questi territori –  sappia essere innovativa partendo innanzitutto dal riconoscimento e dallo studio delle radici antropologiche e da una loro proiezione possibile nel nostro presente e futuro pensato e vissuto, diciamo anche creato assieme? È su questo terreno che si misura la possibilità di operare e praticare scelte condivise e convissute che schiudano una prospettiva davvero alternativa all’inesorabile caduta del mondo in cui stiamo. Altrimenti, come dimostra tanta parte del mondo progressista e della sinistra, si tratterà di continuare a scivolare stancamente e tristemente in una decadenza senza fondo: tangibile nella tristezza e nella superficialità della vita quotidiana ma percepibile anche nelle “visioni” che ci vengono fornite da padroni e baroni, politici ed opinion makers, animatori televisivi e imbonitori on line, diversamente ma analogamente da destra e da sinistra .

Noi come corrente umanista socialista abbiamo cominciato – cercando, elaborando, vivendo – a gettare le basi per una possibile alternativa culturale: la riflessione che vi proponiamo sulle radici ne è un esempio comprensibile, pensabile, esperibile assieme. Ve la proponiamo per poterla verificare ed affrontare assieme e comprendere se ne possono derivare scelte diverse per ciascuno ed in comune. (10/continua)

Note
1. Antonio Damasio, L’Ordre étrange des choses, pag. 49, Odile Jacob, Paris 2018.

2. Ho trattato più diffusamente del problema della coscienza, nel suo rapporto con la conoscenza, nel IV capitolo di Esseri sentimentali e relazionali, Prospettiva Edizioni 2017.

3. Giambattista Vico, “De antiquissima Italorum sapientia”, pag.139, in De nostri temporis studiorum ratione, a cura di P. Massimi, Armando, Roma 1975.

4. Si veda la definizione data in Lalande, Dizionario critico di filosofia, Isedi, 1971, pagg. 180-181.

5. Su natura e cultura vi segnaliamo tra gli altri: “La logica dell’affermazione/1 e 2”, Dialoghi di Venerdì, La Comune, n. 374, 8-22 marzo 2021 e n. 375, 22 marzo-12 aprile 2021.
Dichiarazione della Direzione teorico metodologica della Corrente umanista socialista, “Di alcune verità e libertà fondamentali”, La Comune, n. 376, 12-26 aprile 2021.
Francesca Vitellozzi, “La naturalità umana da difendere”, La Comune, n. 378, 10-24 maggio 2021.
“Natura, cultura ed impegno valoriale/3”, Dialoghi di Venerdì, La Comune, n. 381, 21 giugno-5 luglio 2021.
“Dialogando su natura e cultura”, trascrizione del dibattito di domenica 11 luglio 2021, Lunga estate di Vallombrosa, “Reincontriamoci per un’umanità migliore”, La Comune, n. 383, 26 luglio-6 settembre 2021.
Dario Renzi, Enigmi dell’essere concreto, introduzione all’edizione spagnola di Esseri relazionali e sentimentali, Prospettiva Edizioni, Reggello (Fi) 2022.
I dialoghi di Venerdì. Essere impegnati oggi, Quaderni de La Comune, n. 20, marzo 2022.