In questi giorni i palestinesi commemorano la Nakba, la catastrofe seguita alla distruzione di oltre 400 villaggi, massacri, violenze e distruzioni di ogni genere. Una commemorazione contro il volere di Israele perché vieta la memoria “altrui”: quella palestinese non deve infatti avere visibilità. Le commemorazioni della Nakba non devono inficiare la ricorrenza della nascita dello Stato che ha occupato orami la gran parte della Palestina storica, negato per sempre il diritto al ritorno dei palestinesi profughi, rinchiuso i palestinesi in un lembo frastagliato di quella piccola terra.
La storia andò così. Era il 14 maggio di 72 anni fa, un giorno prima che scadesse il Mandato britannico sulla Palestina, quando Ben Gurion, capo dell’Organizzazione sionista mondiale fondata nel 1897 da Theodor Herzl e presidente dell’Agenzia Ebraica, proclamò la nascita dello Stato di Israele. Lo Stato nato alle 16.00 di un pomeriggio con riunione organizzata in segreto, ma con la lettura della cosiddetta “dichiarazione d’indipendenza” in diretta alla radio, Kol Yisrael che iniziò così le sue trasmissioni, ebbe il primo riconoscimento dall’Unione Sovietica a soli tre giorni dall’autoproclamazione. Il suo esercito appena costituito riuscì a tener testa agli eserciti di tutti i paesi arabi che tentarono di sopraffarlo da allora e negli anni successivi. I massacri di palestinesi erano già iniziati mesi prima, ma il 15 maggio divennero la definitiva catastrofe con la fondazione dello Stato sionista. Le formazioni paramilitari, che presto sarebbero quasi tutte diventate componenti effettive dell’esercito che si autoproclama il “più morale del mondo” ebbero un ruolo importante che nessuno avrebbe mai potuto dichiarare ufficialmente: quello di iniziare la pulizia etnica della Palestina, mai più terminata.