Ancora morti sul lavoro. Ancora vite spezzate per il profitto. Ancora un prezzo elevatissimo pagato da tanti per l’arricchimento di pochi.
Siamo addolorati per Luigi Coclite, Mohamed Toukabri, Mohamed El Ferhane, Taoufik Haidar, che hanno perso la vita e ci auguriamo il meglio per chi sta soffrendo e per Bouzekri Rachimi, che è ancora sotto le macerie, ed esprimiamo solidarietà e vicinanza per le vittime e i loro cari. Sono gli immigrati a pagare il prezzo più alto di un sistema economico e politico che si dimostra sempre più razzista: da una parte respinge chi cerca speranza in questo paese dall’altra li sfrutta per trarne maggiori profitti.
Succede a Firenze, nel centro della città, in un cantiere di Esselunga. Ma succede ogni giorno ovunque, in altri cantieri, nei campi, nelle fabbriche, nelle filature, nei mercati, sulle strade, in viaggio. Nel 2023 sono state più di 1000 le vittime sul lavoro, 3 ogni giorno: giovani e meno giovani, donne e tanti immigrati. Lo denunciano da anni, inascoltate, decine di associazioni che si occupano di questo, ma la vita e la sicurezza non sono una priorità per i padroni né tanto meno per le istituzioni e il governo. Le morti sul lavoro non sono quindi una casualità, sono il frutto avvelenato di un lavoro sempre più alienato, espropriato, precario, ricattato, sottopagato, sfruttato, insoddisfacente e e frustrante.
In una società disgregata, in un’epoca di decadenza, la vita è a rischio per tanti motivi: la guerra innanzitutto, che colpisce tanti nostri simili, ma anche la ferocia patriarcale, le stragi in mare, la violenza diffusa, la cattiveria reazionaria dilagante. Non possiamo delegare allo Stato, ne tanto meno al padronato o a un governo di retrivi la difesa della vita o la sicurezza nei posti di lavoro perché sono questioni umane che possono essere garantite e affermate dalle persone che hanno a cuore e si battono per una cultura della vita.
2024-02-17