La paventata escalation è sotto gli occhi di tutti: la guerra si espande nel Vicino e nel Medio Oriente seminando morte e distruzione, proiettando scenari e conseguenze sul resto del mondo. L’epicentro è a Gaza, dove l’esercito israeliano conduce senza sosta una pulizia etnica contro la popolazione palestinese che ha già causato oltre ventimila vittime, tra le quali un numero altissimo di bambini e di neonati. Ma il conflitto è ormai ampiamente tracimato oltre i suoi confini iniziali e investe l’intera regione. Negli ultimi giorni la crisi si è ulteriormente aggravata, estesa e complicata. Sul fronte libanese, a causa dell’attentato mirato con cui Israele ha ucciso Saleh al Arouri, esponente di primo piano di Hamas, e della puntuale risposta di Hezbollah con lancio di razzi. Già lo scorso 25 dicembre Israele aveva colpito in un altro paese, in Siria, uccidendo un generale iraniano. A segnare l’ulteriore aggravarsi della situazione, l’Iran è stato colpito il 5 gennaio da un gravissimo attentato (rivendicato dai nazijihadisti dell’Isis) nella città di Kerman, che ha provocato circa un centinaio di vittime. Vi è inoltre il fronte aperto nel Mar Rosso, importantissima via commerciale internazionale, dopo i razzi degli Houti sparati dallo Yemen contro imbarcazioni di proprietà israeliana e il conseguente dispiegamento della marina militare statunitense. Questo fosco scenario è aggravato da un contesto di irresponsabilità dei principali protagonisti, pronti a mietere vite umane e a seminare distruzione (già pensando a lucrare sulla ricostruzione) ma sempre più incapaci a tracciare ipotesi di futuro che siano se non eque almeno credibili. I bombaroli – statali ed aspiranti tali, democratici e teocratici – hanno dato fuoco alle micce ma non hanno idea su come circoscrivere l’incendio, tantomeno su come spegnerlo.
2024-01-06