Un cappotto, e conquistato fuori casa.
A dire il vero la prima rete è un autogol: il primo ministro è stata invitata da Landini, il segretario Generale della Cgil, e lei non ci ha pensato due volte ad accettare.
Il secondo gol è che dinanzia d una platea compiacente la Premier non ha fatto nessun passo indietro, riproponendo l’abolizione del reddito di cittadinanza, il no al salario minimo, un fisco che aiuta i ricchi e un lavoro che chissà quando arriverà.
La terza, quarta e quinta rete sono in contropiede, fin troppo facili: nulla ha detto sui morti in mare e Cutro, sulla guerra e sull’invio di armi, né naturalmente sull’odio, il razzismo e il patriottismo che semina a piene mani e su cui ha vinto le elezioni.
Il sesto gol è stato umiliante : senza ritegno né mediazioni ha sostenuto la logica filo-padronale e statalista, legittimata dalla stretta di mano con Landini, il quale sembrava proprio contento con un bel sorriso compiacente.
Quindi, cosa è successo? Una sconfitta così pesante per la CGIL è solo colpa di una giornata storta ?
No, anzi: una débâcle meritata. Perché la Meloni non è affatto sembrata un pesce fuor d’acqua o un corpo estraneo. Il suo appello alla nazione e all’unità nazionale – in cui far rientrare i conflitti e le contrapposizioni – non ha lasciato indifferenti i partecipanti e ha fatto emergere, purtroppo, la vera natura della Cgil. Quella di un apparato burocratico, statalista e verticista, da non confondere però con il valore di tante lotte, con l’impegno e il sacrifico di molti iscritti e delegati della Cgil, spesso isolati anche dentro il proprio sindacato.