Il CESVI, un’organizzazione umanitaria che opera in 22 paesi, ha recentemente presentato la sua 15esima edizione dell’Indice Globale della Fame ne Mondo. 51 paesi registrano livelli allarmanti o gravi di denutrizione: oltre 700 milioni di persone, 200 dei quali bambini sotto i 5 anni. Dal 2014 gli affamati sono aumentati di 60 milioni. Altro che obiettivo “Fame zero” come previsto nell’Agenda 2030 dell’ONU.
Quali le cause? Certamente le guerre che tormentano tanti popoli del mondo. Insieme a queste, l’uso scellerato delle terre coltivabili, che invece di rispondere alle esigenze alimentari umane , risponde a quelle dei profitti, per cui meno di 1/3 dei suoi agricoli sono destinati alla produzione diretta di cibo per gli umani. Il resto è destinato a produzioni in monocoltura di prodotti industriali come canna da zucchero, palma da olio, soia, foraggi, per la produzione di materie prime per l’industria e per gli allevamenti su grande scala. Nella logica dei profitti dei padroni dell’agro business non hanno importanza le necessità umane. Conta solo il mercato globale finanziario e delle materie prime. Da questa logica discende anche un’altra causa: lo spreco alimentare. 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti su un totale di 3,9 prodotte nel mondo finisce nella spazzatura (dati FAO), l’equivalente di 4 volte il necessario di quanto serve a soddisfare tutti gli affamati del Pianeta (dati WWF). Dal 1974 lo spreco alimentare è aumentato del 50%. Questo ci dice degli effetti dell’industrializzazione crescente della produzione, della distribuzione e del consumo alimentare. L’aggressione all’agricoltura da parte dei padroni dell’agro business produce fame, disboscamenti, inquinamenti, avvelenamento delle acque, emissione di colossali quantità di gas serra, consumo e distruzione di terreni insieme all’alienazione dei contadini e delle contadine dalle loro terre. Hanno coscientemente prodotto il paradosso a cui siamo giunti: paesi grandi produttori ed esportatori di cibo, come l’India o il Brasile, sono gli stessi dove c’è più fame, anche fra chi coltiva la terra.