4 maggio 2022.
Proprio oggi, mentre riporto le parole dell’Avvocato Immacolata Iglio Rezzonicco, in Canton Ticino, in Svizzera, le ultime quindici persone richiedenti asilo rimaste ‘intrappolate’ nel ‘Centro N.E.M’ di Camorino, un bunker sotterraneo della Protezione Civile, a causa di maglie legislative cieche e stringenti, vengono trasferite in una nuova struttura di accoglienza, il ‘Colorado Cafè’.
Una pensione scelta dal Dipartimento di sanità e socialità del Cantone svizzero che fino a poco tempo prima ospitava un postribolo abusivo e che seppure provvisoria e controversa, sarà sicuramente un luogo più consono ad accoglierle. Queste persone si sono ritrovate infatti a vivere per anni in condizioni restrittive inaccettabili e ai limiti dei diritti umani perché considerati ‘N.E.M’, ‘non entrata in materia’.
Sono coloro che dopo aver inoltrato una domanda di asilo alle autorità competenti e aver ricevuto esito negativo, non possono restare in Svizzera perché non è loro riconosciuto lo status di rifugiati. Non ottengono un regolare permesso di soggiorno e rischiano così anche il carcere amministrativo. La legge impedisce però la loro espulsione forzata dal territorio svizzero. Quindi il limbo e la reclusione sotterranea in uno dei centri predestinati. Durata per anni.
Questi invisibili tornano alla luce grazie alla volontà di chi ha lottato contro l’indifferenza e per i diritti umani, unendosi a proteste di collettivi di resistenza, testate indipendenti, promuovendo petizioni presso il Consiglio di Stato, e chiedendone con forza la chiusura. Finalmente arrivata.
Tra loro, Immacolata Iglio Rezzonico, avvocato a tutela dei diritti dei rifugiati e legale dei richiedenti asilo reclusi nel bunker, che in un incontro prezioso ci svela le ombre delle politiche migratorie e sull’asilo in Svizzera, e in particolar modo nello Stato del Canton Ticino, dove il nuovo sistema d’asilo, entrato in vigore nel 2019, trova una delle sue applicazioni più dure e restrittive.
È il 2 maggio e ormai siamo vicinissimi al trasferimento verso il nuovo centro. A Lugano, l’avvocato Iglio Rezzonico, ci racconta cosa significa vivere come i richiedenti asilo costretti nel bunker.
A loro è imposto un divieto di circolazione in un luogo lontano dall’abitato, dove si trova il rifugio, e che non permette contatti sociali di alcun genere. Giunti in Europa, e poi in Svizzera, dopo travagli e sofferenze, precipitano in un deserto di asfalto e cemento. Sotto terra.
“Non c’è nessuna possibilità di scambio. La famosa ‘integrazione’, parola tanto portata avanti a livello politico, per loro non c’è. La risposta che la politica offre, come se rispecchiasse la normalità, è che loro non possono integrarsi perché sono illegali sul territorio e devono andarsene. Come se l’integrazione, cioè il percepire l’altro nella relazione con te stesso dipendesse solo da uno statuto e non dal fatto di essere semplicemente un essere umano”.
Questa percezione, questa particolare misura dell’altro è ciò che di più aberrante emerge da questa storia.
Il calpestare l’essenza del valore umano ha fatto rivoltare Immacolata. È cio che l’ha spinta a portare avanti le battaglie iniziate otto anni fa. Come legale dei richiedenti asilo, così come nella sua attività in seno al collettivo antirazzista ‘R-esistiamo’, promotore di presidii e proteste a difesa dei rifugiati del centro di Camorino.
La chiusura del bunker, che sicuramente costituisce una prima decisiva vittoria, resta purtroppo una pallida nota di speranza nel quadro generale della situazione sulla migrazione e dei rifugiati in Canton Ticino, e più in generale in Svizzera. Un quadro reso ancor più contradditorio alla luce di quanto sta accadendo con l’attuale ‘soccorso umanitario’ per la guerra in Ucraina e alle disparità di trattamento che sta mettendo in rilievo.
Così come spiega l’avvocato, “parliamo infatti di una ventina di persone, e non dell’‘invasione barbarica’ che la politica ha paventato. Persone che nel corso degli anni si sono alternate, tranne alcune che sono invece rimaste nel centro per cinque, sei, otto anni. Un’alternanza oltretutto data dal fatto che una volta arrivate nel bunker, dopo una settimana venivano rimpatriate in maniera coatta, fatto che costituisce un altro tema importante”.
La Svizzera infatti, come del resto tutti i paesi democratici, è tra i paesi meno sollecitati dall’emigrazione. Ciò nonostante, per la politica degli Stati, al richiedente asilo, all’emigré, resta uno stigma incancellabile.
E nel paradosso sull’emigrazione ciò è dovuto a politiche che in realtà tendono ad un ideale di “qualità” del cittadino, idea che risente dei riverberi inquietanti delle discriminazioni su base razziale e che non resta affatto in secondo piano nell’aplicazione cogente delle leggi da parte dei funzionari.
Nelle sue lotte, l’avvocato Iglio Rezzonico ha dovuto affrontare istituzioni dello Stato spesso ostili e permeate da una visione a dir poco aberrante. Nelle pratiche amministrative le persone ospitate sono infatti individuate con un semplice numero identificativo. Deprivati dello statuto di cittadini liberi, vengono così usurpati anche dell’individualità. E il pensiero non può non andare agli eventi più sconvolgenti del Novecento e alle sue più oscure deformità ideologiche.
“La legge sull’asilo in Svizzera ha subito diverse modifiche. Una tra le più importanti si configura in seguito alla Seconda Guerra mondiale quando giunsero moltissimi rifugiati dall’Est Europa, e che come coloro che oggi giungono dall’Ucraina, sono tutti ritenuti ‘europei’, e soprattutto sono ‘bianchi’. Allora ci fu un ampliamento della legge d’asilo sulla possibilità di entrata in Svizzera. Man mano, ha cominciato a divenire più restrittiva. Quando è iniziata una migrazione di diverso tipo, ovvero di diversa provenienza, fuori dall’Europa.”
Il quadro legislativo svizzero e la sua applicazione in materia di emigrazione e di asilo è molto restrittivo ed è determinato da scelte e volontà politiche precise, declinate autonomamente in ciascun Cantone. La nuova legge introduce un processo apparentemente garante di una certa tutela all’ingresso, ma rivela tutta la sua fragilità e molte ambiguità.
“Anche se la recente versione della legge entrata in vigore nel 2019 è stata tanto osannata, perché è finalmente stata data la possibilità di avere degli avvocati sin dall’inizio della procedura, questi ultimi sono però pagati dalla stessa autorità, la S.E.M, la Segreteria di Stato dell’emigrazione, autorità competente nelle decisioni in materia d’asilo, creando una sorta di conflitto di interessi.
Che vi sia questa presenza è sicuramente un bene, ma questo non basta, perché a fronte di questa grande garanzia è stata introdotta per assurdo un’accelerazione della procedura. In questa accelerazione, ulteriore assurdità è l’aver già preventivato da parte della Confederazione che il 48% delle procedure saranno tutte ‘casi Dublino’.”
Il regolamento di Dublino III, entrato in vigore il 1 gennaio 2014, legato ad una serie di accordi internazionali, tra cui il sistema di informazione Shengen e l’Eurodac, una banca centrale dei dati nella quale vengono archiviate le impronte digitali e i dati di chiunque attraversi irregolarmente le frontiere di uno Stato membro, oppure inoltri una richiesta di protezione internazionale, costringe le autorità competenti ad inviare il richiedente asilo nel paese di primo approdo. Quest’ultimo è quindi obbligato a prendere in carico la persona che abbia presentato domanda in un altro Stato. “Con l’entrata in vigore della nuova legge sull’asilo, le autorità svizzere fanno in modo che si arrivi a considerarli come casi Dublino, come a voler raggiungere la percentuale prefissata”.
Il meccanismo per realizzare questo disegno è semplice e non offre rimedio. Un primo colloquio all’arrivo durante il quale vengono rilevate le generalità. Se si viene presi in dogana viene effettuata con un verbale di polizia, senza interprete e in assenza di avvocato.
Poi viene svolto un uteriore colloquio con un funzionario della Segreteria dell’emigrazione, ancora una volta senza la presenza di un legale.
“Non appena arrivato non puoi sapere come funziona la procedura e quindi gli addetti fanno quella domanda, “Ma da dove sei passato?” E quindi anche se non ti sono state prese le impronte digitali, se riescono a far dichiarare dove sia avvenuto un presunto ingresso, si attaccano a questo e trovano la possibilità di affermare che si sia giunti in un dato paese anche se da esso si è solo transitato. Sui grandi numeri che possiedono, provano sempre ad emettere delle ‘decisioni Dublino’, perché sanno che gli avvocati, oberati di lavoro, non sempre presentano ricorso.
L’avvocato Iglio Rezzonico, che ha lavorato in precedenza come persona di fiducia presso il Centro per i minorenni non accompagnati ne è testimone e con l’avvento della nuova legge nel 2019 il servizio giuridico resta nella medesima situazione, con un sovraccarico di lavoro che non permette di presentare tutti i ricorsi necessari.
L’avvocato racconta di trovarsi spesso di fronte alla disperazione dei suoi clienti respinti dai legali del servizio. Si trova quindi a dover inoltrare ricorsi contro procedure accelerate per i quali sono imposti termini brevissimi, di soli cinque o dieci giorni. Tempi che impediscono anche il reperimento della documentazione da allegare alle istanze. Senza contare che spesso gli incarti necessari richiesti alla S.E.M o al Servizio giuridico interno, le vengono consegnati solo dopo la scadenza dei termini.
“C’è una disparità di posizioni molto evidente e questo dà la misura di quale sia veramente la situazione all’interno di queste procedure. La legge è talmente restrittiva in termini giuridici, da eliminare per esempio le sospensioni feriali. Non ci sono gli stessi diritti del resto del sistema giuridico in questo ambito.
Un’ultra grave violazione che si riscontra è quella relativa alla ‘facoltà di non collaborare’, di non parlare, che in ambito penale è invece ritenuta una garanzia fondamentale… se viene esercitata in queste procedure, di carattere amministrativo, essa viene considerata ‘mancanza di collaborazione’ e quindi si può essere addirittura messi in carcere.”
L’utilizzo della carcerazione amministrativa come strumento dissuasivo, ci aiuta a capire cosa abbiano subito durante questi anni le persone nel Centro di Camorino.
“Sei nel bunker, non hai prospettive per il ritorno e i rimpatri forzati possono essere fatti solo con i Paesi con i quali sono stati stretti degli accordi. Quindi rimani bloccato in questo limbo con il divieto di circolazione. Ogni tanto la polizia viene a farti un verbale e ti chiede se vuoi tornare nel tuo paese e ti informa della possibilità di avere un ‘aiuto al ritorno’ dandoti quindi anche dei soldi .. ovviamente le persone rispondono di non voler tornare. Questo viene ritenuto mancanza di collaborazione. E sono sei mesi di carcere.
Ho provato una sola volta a fare ricorso contro questa decisione e il giudice per le misure coercitive mi ha risposto solo dopo i sei mesi di carcerazione, e nel frattempo ne avevano già prorogati altri sei, perché hanno la facoltà di farlo fino a diciotto mesi.”
Stiamo parlando di persone che non hanno commesso alcun crimine. Le procedure, i rallentamenti e l’ostruzionismo sui ricorsi, sono il riflesso di una precisa volontà, di una “legge solamente politica”, sottolinea l’avvocato Iglio Rezzonico. Vi sono poi differenze tra Cantoni. Un esempio è quello del Canton Ginevra, dove tutti coloro che sono stati definiti ‘N.E.M’ sono stati trattati come ‘casi di rigore’, e alle persone è stato concesso un permesso di soggiorno per attività lucrativa.
Ma in Ticino la situazione è molto diversa, distante dalle posizioni di Ginevra, dove i numeri erano molto più grandi e la dimensione politica, unita alla presenza degli organismi internazionali, ha permesso di ottenere un allargamento delle maglie e una maggiore umanità nel trattamento dei richiedenti asilo.
“Qui la carcerazione amministrativa è al contrario applicata in maniera pesante. Mentre in altri Cantoni ci si limita al divieto di circolazione e alla doppia firma in polizia.Sono scelte cantonali e questo Stato è uno dei più duri, dove maggiormente si sta anche applicando la revoca dei permessi di dimora e di soggiorno”.
Intercorre un breve e intenso silenzio. Poi l’avvocato riprende “..mi sembra di vedere il sistema utilizzato durante il nazismo, quando ognuno aveva una piccola parte, un piccolo compito da svolgere, in modo che da un lato non poteva sentirsi responsabile perché aveva svolto il suo compito senza sapere cosa stava avvenendo, e dall’altra poteva sempre scaricare le responsabilità su un altro settore.”
Durante le procedure di richiesta d’asilo s’incontrano queste scatole stagne, dalla Confederazione, alla SEM, alla Croce Rossa, ai Dipartimenti cantonali, ai tribunali. La superiorità presunta manifestata dalla politica e dai funzionari che ne divengono le braccia esecutive, anima una grande e complessa macchina giuridica e burocratica. A tratti decisamente inquietante. “Siamo in un momento in cui è l’uomo ad essere asservito alle leggi”, afferma l’avvocato , che con la sua apparente aria pacata conduce quella che definisce una “lotta che può sembrare condotta contro i mulini a vento”. Lei però non mostra segni di stanchezza ed è convinta che “riusciremo a fermarle quelle pale un giorno!”.
Sono gli indivdui, dietro l’abito del funzionario, a fare la differenza lungo il confine sottile dell’applicazione delle leggi al reale. Soprattutto in uno Stato dalle dimensioni ridotte come il Canton Ticino, dove oltre alla battaglia per i richiedenti asilo rinchiusi nel bunker, Immacolata Iglio Rezzonico, ha condotto lotte significative in ricorsi presso la Corte europea per i diritti dell’infanzia, che la Svizzera può adire solo dal 2017. Dei quali uno è stato vinto ed un altro è ancora pendente presso la Corte e per il quale si attende risposta.
Se da un lato rallegra il fatto che alcune di queste battaglie abbiano avuto buon esito, esse ci mostrano per converso anche le spesse ombre che avvolgono il quadro generale, dove molti sono i diritti violati, gli abusi commessi, le difficoltà da raccontare.
All’inizio della sua attività a difesa dei diritti umani, l’avvocato vive un momento decisivo per il suo percorso. Arrivò come una doccia fredda. Otto anni fa, quando da poco aveva iniziato le battaglie per i richiedenti asilo finiti nel bunker di Camorino. Venne accusata di violazione di domicilio perché entrò su richiesta dei suoi assistiti all’interno del bunker, gestito dalla Croce Rossa e controllato da servizi di sicurezza privata. Pensò di perdere tutto e ne ebbe paura. “La volontà di colpire era lampante, così mi sono detta che stavo facendo bene se arrivavano a questo punto, che era una lotta importante”. Da allora non si è mai voltata indietro.
Trovandosi immersa in un simile contesto, ha poi desiderato andare oltre. Scardinare queste leggi, ritenendo fondamentale per tutti il diritto di muoversi, di spostarsi liberamente.
“In Svizzera si fanno le pulci a persone che nei Paesi di provenienza rischiano la vita, non solo perché fuggono dalle guerre, ma anche perché non hanno risorse per poter vivere. Non esiste giuridicamente la definizione ‘migrante economico’. È un termine frutto dei media…però quanti ragazzi scappano dall’Africa per poter dare a sé stessi e alla propria famiglia un futuro? Perché ad un ragazzo africano che abbia il desiderio e la volontà di studiare in questo paese viene negata questa possibilità, mentre ad un ragazzo di una nazione europea, un occiddentale può farlo? Ci sono gravissime discriminazioni, che ovviamente non riguardano solo la Svizzera. E voglio continuare a lottare.”
Il silenzio dei mezzi di informazione e della stampa ha contribuito ad aggravare il fenomeno e non ha messo nella giusta luce quanto stava accadendo da anni a Camorino. L’assenza di trasparenza e di pluralità non permettono di restituire all’opinione pubblica una corretta prospettiva rispetto al diritto dei rifugiati.
“L’unica controinformazione in Ticino viene da alcuni collettivi o da gruppi che si avvicinano a dei partiti ma che non riescono a sfondare il muro per poter arrivare all’opinione pubblica con l’informazione necessaria”.
‘R-Esistiamo’, ‘Forum Alternativo’ e ‘Il Molino’ sono alcuni nomi di questi gruppi, tra cui vi è anche la recente iniziativa editoriale di ‘Naufraghi’, testata on-line di puntuale sensibilità sul tema che ha prodotto un documento video intervistando i rifugiati del bunker.
“Il Molino, è però stato distrutto anche fisicamente nella sua sede. È stato abbattuto per volontà politica tanto vi è un’identificazione del contestatore con il diverso da eliminare. Siamo ad oggi per esempio in un ambito di circa una settantina di interrogatori dei suoi componenti e in pochissimi mesi, per fatti che in realtà non sussistono. Si vogliono identificare le persone ‘contrarie o critiche nei confronti del sistema’.”
La situazione è complessa e il bunker di Camorino si rivela essere la vergognosa punta di un iceberg, in un sistema ancora lontanissimo dai valori fondamentali di libertà per i quali l’avvocato si batte da anni. L’importante vittoria è dunque in realtà l’inizio di un irto percorso. Resta infatti la scottante questione dei Centri di accoglienza cantonali e federali presenti sul territorio del Canton Ticino.
A Paradiso, Cadro e in futuro ancora una volta a Camorino, dove ne verrà costruito uno proprio sopra il bunker, che resterà funzionante per il solo stoccaggio di merci e scorte, ma al quale sarà destinato anche un certo numero di posti letto.
In questi Centri di accoglienza, i rifugiati vengono ‘ospitati’ forzatamente perché non ritenuti in grado di mantenersi autonomamente.
La lotta contro la creazione degli invisibili e la loro segregazione nei Centri è divenuta dunque la battaglia del presente per Immacolata e per il collettivo ‘R-esistiamo’.
Se la gravità della scelta di alloggiare delle persone in bunker sotterranei per un tempo così prolungato ha condotto nel tempo e dopo insistenti proteste la Commissione contro le torture a pronunciarsi in merito contribuendo a decretarne la chiusura in tutta la Svizzera, i Centri di accoglienza, restano però nella medesima logica coercitiva. In queste strutture, alcune delle quali vengo addirittura considerate dei ‘veri fiori all’occhiello’, vengono isolate anche intere famiglie.
“Chi pensa allo sguardo dei bambini”? Domanda l’avvocato. “Immaginiamo un bambino, fuggito da guerre, con i miltari nella memoria e che ora vede ventiquattro ore su ventiquattro le guardie preposte al suo controllo, chiuso all’interno di un edificio cintato e con una torretta centrale nel mezzo come nelle prigioni americane.. I peggiori sono i Centri federali di prima accoglienza, dove vengono fatte le registrazioni e parte la procedura. Qui i rifugiati possono restare fino a centoventi giorni, vige la massima sicurezza, ci sono le guardie con i cani, il filo spinato..i richiedenti asilo si ritrovano reclusi dopo aver vissuto dei drammi nel Paese di partenza e anche un lungo viaggio. Ad un bambino come la spieghi una cosa simile?”
“Per centoventi giorni non possono uscire neppure per andare a scuola, che viene svolta all’interno dei Centri, ma che è una scuola che consiste fondamentalmente nel tenerli semplicemente in gruppo e dove vi sono difficoltà nell’insegnamento a causa delle diversità linguistiche”.
I Centri sono dunque un altro luogo della sospensione e dell’incertezza, dell’isolamento. Ma anche luoghi di una fiorente attività economica legata alle commesse assegnate per la loro gestione, elemento che mette in rilievo ancora una volta le ambiguità istituzionali, che si uniscono ad un uso strumentale delle leggi e del sistema giuridico squisitamente politico.
Un sistema che genera i mostri con i quali si confrontano i rifugiati, spogliati della libertà, e Immacolata Iglio Rezzonico, la cui sensibilità giuridica si ispira ad una coscienza matura del valore umano, unita ad una grande resilienza acquisita e sviluppata in seno alla sua famiglia, dove nasce invece la sua sensibilità individuale.
Racconta che lo sviuppo della sua esistenza è stato fondamentale per poter poi condurre la sua attività a difesa dei diritti umani, e quanto preziosi siano stati gli insegnamenti ricevuti dai genitori. Dalla madre insegnante e dal padre avvocato, che si spostarono dal Sud Italia al Nord negli anni Settanta e si videro confrontati con il razzismo italiano interno, insegnandole con le loro battaglie personali e professionali il valore della combattività e al contempo dell’apertura al mondo.
“Mio padre faceva durante gli anni Ottanta in Italia ciò che ora sto facendo io qui in Svizzera. Quando giunsero ad esempio molti immigrati dal Marocco, momento in cui la porta dello studio di mio padre si aprì, così accadde anche per la porta di casa. Furono molti i legami di profonda amicizia con queste persone e che costituiscono per me un tassello fondamentale. Questi incontri mi hanno fatto comprendere il mio valore come essere umano e come donna. Ed anche successivamente quelli con le persone appartenenti alla controcultura, sia in Italia e soprattutto a Lugano, in Svizzera.” Esperienze significative che le hanno fornito gli strumenti per condurre la propria attività in situazioni aberranti come quelle che ci ha descritto.
“Per me prima di tutto viene l’essere umano, che ha in sé la libertà e ne è un portatore. Viene prima del diritto e delle leggi. Certo ci si può autoregolare perché si deve convivere, ma non si possono imporre leggi che ammettano una privazione di questa libertà a fondamento della vita umana”.
L’entrare in relazione con l’altro inteso come conoscenza le ha permesso di esprimersi umanamente avvicinandosi sempre più a sé stessa, ed anche a sviluppare la sua linea guida nell’esercizio della professione di avvocato, da lei scelta nonostante il carattere.
Racconta della sua grande timidezza da bambina, di quando le dissero che lei non avrebbe potuto fare l’avvocato…e ne ridiamo fragorosamente. Sappiamo che il suo istinto le ha dato ragione. Era un fiore che doveva sbocciare, come il valore più alto al quale si ispira.