Arabia saudita. Nell’indifferenza della grande stampa internazionale, il tribunale ha reso esecutive 81 condanne a morte in un solo giorno. È un dato impressionante perfino per i pessimi standard dell’Arabia saudita. Tra i condannati vi sono detenuti comuni, terroristi, oppositori. Sullo sfondo, la guerra di Riad in Yemen.
Khartoum, capitale del Sudan. Venerdì 11 marzo le persone sono nuovamente scese in strada contro la repressione del governo militare, una mobilitazione che dura con più ondate dal 2018. Almeno 81 manifestanti sono stati uccisi in un sol giorno.
La ferocia delle esecuzioni in Arabia saudita e l’altrettanto sanguinosa repressione di piazza in Sudan sono espressioni diverse di un comune terrorismo di Stato. Nel primo caso si tratta di un paese ricchissimo: la compagnia petrolifera statale saudita è il più grande esportatore al mondo di petrolio e si prepara a conquistare fette di mercato a spese della Russia; è inoltre un alleato di ferro delle democrazie americana ed europee (un anno fa Matteo Renzi disse che “l’Arabia saudita può essere il luogo di un nuovo Rinascimento”). Nel secondo siamo di fronte a un paese molto più povero, governato da una casta militare già responsabile del genocidio in Darfur; il suo potere è stato profondamente messo in discussione dalla mobilitazione popolare ma non sconfitto. Entrambi compiono stragi impunite all’ombra della guerra in Ucraina.