Risorse umane e Stati di guerra

Ci interroghiamo se davvero si sta uscendo dalla fase acuta della pandemia, aneliamo a rincontrarci, le speranze per il futuro rifioriscono ma intanto le minacce continuano e si aggravano persino.

Può esserci la tentazione di ignorare i pericoli o di lasciarli in secondo piano: abbiamo le nostre esigenze vitali e problemi quotidiani da risolvere, possiamo credere erroneamente che i rischi globali non ci riguardino.

Invece ci riguarda la guerra possibile per il Donbass tra la Russia di un improvvisato e goloso zar post-stalinista e l’Ucraina affamata di Nato e segnata da un sordido passato filo-nazista mai saldato; le ammaccate democrazie si agitano tra sforzi diplomatici e promesse di sanzioni non senza dissonanze tra loro, sullo sfondo gongola e lucra l’impero cinese presentandosi come improbabile garante dell’autodeterminazione.

Ci riguarda il furibondo ed empirico attivismo yankee, come al solito militaresco, che malcela e accentua la possibilità di devastante implosione della fu superpotenza mondiale.

Ci riguarda il gigantesco e nascosto conflitto tra i giganti delle (dis)informazioni e dei dati, che configura e mette in atto una nuova terribile, invisibile ed invadente forma d’oppressione: quella tecnologica.

Ci riguarda lo stillicidio che sorelle e fratelli del mondo in viaggio, mossi da speranze e paure, subiscono quotidianamente: respinti dalle frontiere o maltrattati come paria.

Ci riguarda la violenza che si diffonde inarrestabile contro le donne, le/i bimbe/i, le persone fragili: frutto ed alimento del connubio tra patriarcato e bellicismo planetario.

Ci riguarda il maltratto crescente verso le giovani e i giovani da parte del governo e delle sue forze repressive: vengono sottoposti ad un’istruzione sempre più coatta, misera ed alienante nelle forme e nei contenuti e muoiono di lavori che dovrebbero essere educativi.

Ognuno di questi aspetti ed altri ancora toccano e minacciano le nostre risorse ed aspettative più intime e preziose: il desiderio di pace e concordia; il bisogno di sapere e verificare in prima persona certe verità della vita; la spinta originaria ed incancellabile ad incontrarsi, relazionarsi, aggregarsi come umani tra gli umani; l’affermazione libera del genere primo che tutte/i ci rende migliori; la crescita sana e gioiosa delle nostre sorelline e fratellini; l’amore per le persone più deboli; il diritto essenziale ed universale alla presa di coscienza sentimentale e razionale per ogni giovane donna ed uomo che possa così imparare a scegliere.

Ognuno di questi aspetti riguarda la nostra umanità profonda che viene attaccata, in modo diretto o indiretto da questi moloch oscuri, inaccessibili, distanti eppure opprimenti, estranei ed invadenti che sono gli Stati. Tutti gli Stati: da quelli più apertamente autoritari a quelli formalmente popolari e democratici accomunati dalle forze armate e repressive dalla loro storia di trame, guerre e violenza, sempre pronti a colpire per ribadire il proprio potere negativo.

Due logiche contrapposte si fronteggiano implacabili: quella della vivibilità che anima le persone comuni e quella dell’uccidibilità su cui si basano gli Stati. Riconoscere questa contrarietà insanabile ed agente in profondità, ergersi come interpreti e difensori delle migliori risorse umane sono presupposti fondamentali per cercare e trovare la via ad una felicità possibile.

Dunque le nostre risorse essenziali protese ad essere più e meglio umani non possono ignorare e anzi devono imparare a diffidare e sfidare questi giganti ciechi e crudeli, senza scendere nei loro campi di battaglia ma con la forza della ragione sentimentale, della coscienza e dell’aspirazione a fondare culture alternative indirizzate all’affermazione positiva di personalità, relazioni e comunanze libere e benefiche.