Lei si chiama Legacy Russell e viene intervistata con superficialità e benevolenza acritica da Gaia Manzini su L’Espresso del 2 gennaio 2022. Un giornale, sia detto con sincero riconoscimento, che si contraddistingue per disinvolte mescolanze tra statalismo democratico radicale – su questo numero ci sono addirittura le letterine di fine anno al capo dello Stato che verrà – e sfacciate sviolinate al negazionismo di vario tipo.
L’intervistatrice introduce il personaggio con una clamorosa rivelazione: “Il centro del suo pensiero intellettuale è sempre l’attivismo per i diritti delle persone QTPOCI+ (Queer & Trans, People of Color, Indigenous): nel 2012 dalle sue riflessioni è nato un vero e proprio manifesto.” Ci avventuriamo nella lettura mentre ci interroghiamo sulla fantasmagorica definizione di “pensiero intellettuale”: sarà un pensiero dell’intelletto o un pensiero sull’intelletto o solo uno dei pensieri umanamente possibili?
L’intervistata ci racconta che ad un certo punto ha: “…cominciato a esplorare lo spazio digitale in cerca di nuovi punti di riferimento. Così ho scoperto un luogo in cui era possibile allontanarsi dalle etichette rigide e asfissianti che mi venivano imposte ogni giorno nel mondo reale. Ho cominciato a sperimentare con tutte le possibili identità che potevo creare e dismettere a mio piacimento. In questo credo che il mondo digitale sia uno spazio sovversivo: a oggi è l’unico in cui ci è permesso distaccarci dal nostro corpo codificato e genderizzato (sic!?) per inventarne infiniti altri, corpi ed identità libere e queer che ci restituiscono la libertà e il diritto di definire per noi stessi quelli che siamo.” Dunque qui si tratta dell’allontanarsi dal mondo reale con le sue etichette rigide e asfissianti, un po’ come si fa nei giochi infantili o di ruolo o anche nei sogni e nell’inventarsi pseudonimi o nomi di penna ma con una differenza sostanziale: la Russell non sta giocando ma spiegando il suo “pensiero intellettuale” che si basa sull’abbandono del mondo reale per il mondo del web, che è opportuno ricordare essere creato e gestito da padroni avidi e imbroglioni oltre ogni limite noto. Ora, per definizione l’espressione “mondo digitale” è una metafora, al massimo una sineddoche, come dire il “mondo del porno” o il “mondo del crimine”, ma l’intervistata la intende in chiave totalizzante come il suo mondo fintamente autonomo di realtà parallela ed eterodiretta. Mondo virtuale in cui sarebbe possibile “distaccarci dal nostro corpo”, ovvero elevarsi nell’anima o chissà realizzarsi come puro spirito, in ogni caso infrangere l’unione tra corpo e mente che semplicemente ed essenzialmente ci rende umani, per “inventarne infiniti altri” (corpi si intende, rinnovando nel migliore dei casi la favola noir del Frankenstein di Mary Shelley o forse del Frankenstin nella versione di Mel Brooks) sempre grazie alle magie del “pensiero intellettuale”, secondo il capriccio del momento. Questi “corpi ed identità” darebbero “la libertà e il diritto di definire per noi stessi quelli che siamo”, laddove il plurale indica l’individualità impazzita e ondivaga che per dirla terra terra se ne fotte altamente delle altre e degli altri presenti, futuri e passati. Di nuovo ed ulteriormente la dimensione umana viene frammentata a proprio uso e consumo con un atto ad un tempo demenziale e prepotente, ridotta alla sensazione bizzarra e singolare di un momento mentre qualche “grande fratello” sorveglia e supervisiona il tutto dal cloud.
Per evitare equivoci sulla profondità del suo “pensiero intellettuale”, la “femminista” (parola che nella narrazione negazionista contiene un’irreparabile contraddizione in termini) ci spiega: “Creandoci nuovi corpi ibridi e fluidi, smettiamo di essere rintracciabili e definibili immediatamente da un’etichetta. In definitiva, quindi, smantellare il genere significa creare corpi nuovi, cosmici appunto.” Attenzione, siamo giunti niente meno che alla teologia della separazione e della negazione: si creano “nuovi corpi ibridi, fluidi” addirittura “cosmici”, quindi vaganti negli infiniti spazi al di fuori di qualsiasi dimensione naturalmente e comunemente umana: un individualismo superomista e adoratore del cyber si affaccia e si spaccia per creatore di se stesso, quando nella realtà mondana assomiglia a un orrendo videogioco e comunque dipende per intero dai signori del web a cui è dichiaratamente sottomesso.
L’intervistatrice, che ha studiato, ci informa “Nel 2014 Facebook ha reso possibili 58 opzioni (e tre pronomi) per indicare il proprio genere.” Ovviamente la signora Carmela e Gennarino non sono stati consultati e nulla esclude che potranno essere la cinquantanovesima e sessantesima opzione, non sappiamo con quali pronomi, e così via: tanto per chiarire l’impazzimento endogeno di questo “pensiero intellettuale” “cosmico” ed autoreferenziale.
L’intervistata fa però una dichiarazione conclusiva perentoria ed ulteriormente chiarificatrice: “L’obiettivo finale è quello di far capire che la realtà è quella che noi creiamo e non quella che ci viene imposta, che l’unica soluzione è di distruggere il sistema e mandarlo in cortocircuito, diventando corpi ed identità fluide.”
“Il viaggio verso la nostra identità è intenso, talvolta doloroso. Una volta iniziato a sperimentare, però, diventa un percorso gioioso di comunanza con gli altri, di scoperta di sé e delle infinite possibilità del nostro io. Insomma è un viaggio durante il quale costruiamo noi stessi e, così facendo, edifichiamo mondi che abbiano spazio a sufficienza da essere veramente inclusivi e solidali.”
Al delirio del “pensiero intellettuale”, dopo aver definitivamente liquidata la realtà oggettiva, non poteva mancare l’urlo belluino, e palingenetico: “distruggere il sistema”, tipico di qualunque intento totalitario, che in questo caso suona ancor più ridicolo detto da chi sguazza nel peggior “mondo sistemico” per definizione, quello di internet, casomai in attesa del nuovo messia tipo uno Steve Jobs redivivo o il suo delfino Elon Musk. Eccoci di fronte alla negazione della complessità del mondo reale, della sua naturalità mutabile e plasmabile ma pur sempre definita nella molteplicità delle specie che abitano il pianeta, pianeta evidentemente indifferente o estraneo per la Russell perduta nelle galassie dell’individualismo sfrenato. Si nega la storia della specie umana e delle sue peculiarità basilari di genere femminile e maschile farneticando così: “smantellare il genere binario e la concezione di genere in senso più ampio, significa rifiutare un sistema che pretende di ridurci a un’opposizione binaria, di farci scegliere tra due poli.” Come se si potesse scegliere da chi e chi nascere. Il delirio di onnipotenza della paladina dei “corpi cosmici” deve basarsi sulla falsificazione storica sostenendo che il riconoscimento dei due generi umani “è utile soltanto al sistema capitalistico”, come se per decine di millenni precedenti al capitalismo non fossero esistite persone di genere femminile o maschile e non si fossero accorte del presunto malefico inganno perpetrato da madre natura. Nella realtà multimillenaria, vituperata e rimossa dalla paladina cosmo-demenziale, le donne sono sempre state e si sono sempre percepite come madri della specie e così sono state spesso evocate persino dalle religioni tradizionali, malamente ma inevitabilmente sono state riconosciute e perseguitate come tali persino dal genere maschile oppressore. E poi che squallida ipocrisia parlare di sistema da parte di chi è al soldo delle major del web: il nuovo e peggior volto controrivoluzionario del sistema! C’è qui un tentativo di distruggere qualsivoglia principio di realtà, ultima tappa del viaggio agli inferi del post-modernismo decadente, che comporta la liquidazione della ricerca di verità relative condivise. Queste nascono necessariamente dal riconoscimento di specie e di genere delle altre e degli altri, e quindi dalla capacità di confronto e mediazione relazionale e comune che viene liquidata invece nel negarsi quotidiano capriccioso e scontrollato dell’individuo che non sapendo chi è tantomeno può riconoscere l’altra o l’altro, restando così isolato e sperduto esattamente come vogliono i sistemi oppressivi. Le soggettività umane sono per loro natura complesse, a cominciare dai due generi per finire all’individualità, e costantemente composite tra le persone che tessono rapporti e si raggruppano in comunità. Le tre modalità delle soggettività – singolare, reciproca, plurale – sono inseparabili ed interdipendenti come dimostrano tutte le manifestazioni del presente e della storia. Gli oppressori cercano di violare questo basilare assetto antropologico ma non ci riescono e non possono riuscirci malgrado i tentativi efferati e dannosi, di cui il negazionismo di genere è l’ultima disperante e demenziale espressione. A ben guardare questi deliri sono il frutto marcio di una società esaurita, svuotata da valori e da convinzioni essenziali, fonte velenosa di rapporti strumentali, alienati, violenti, promotrice del perdersi dell’individuo incapace di riconoscersi come protagonista costante di un io-tu-noi dinamico coscienzialmente e culturalmente ma basato psico-fisicamente. Ritrovarsi come persone intere e imperfette, uniche ma inseparabili dalle altre e dagli altri, entità singolari sempre protagoniste di reciprocità e pluralità, capaci di scegliersi nelle proprie peculiarità e aspirazioni perché ci riconosciamo umani tra gli umani, donne o uomini libere/i di interpretare la propria natura ed assumere o cambiare le proprie culture: questa è la prima risposta affermativa e positiva per sconfiggere ogni negazionismo nihilista e decadente con i suoi “pensieri intellettuali cosmici” che preparano al peggio.
5 gennaio 2022