Ha fatto il giro del mondo l’immagine di una donna ormai senza vita a causa di gelo e fatica, stesa nella neve al confine tra Iran e Turchia. Veniva via dall’Afghanistan martoriato da quarant’anni di guerre, un paese al centro dei notiziari estivi ma rapidamente messo da parte dal mainstream globale. Erano con lei i figli di 8 e 9 anni, salvi grazie al suo sacrificio – la donna si è sfilata i calzini e li ha dati loro per proteggerli dalla morsa del freddo – e poi al soccorso di alcuni abitanti di Belesur, un villaggio iraniano nelle vicinanze.
In questa straziante notizia di cronaca è possibile riconoscere i nemici dell’umanità, responsabili di decine di migliaia di morti ogni anno: è un dramma quotidiano quello dei profughi, in fuga dalle guerre, e di tutti coloro che sono in cammino cercando un futuro migliore. Ad ogni latitudine e confine di Stato, dalla Siria all’Afghanistan, dalle piste sahariane al confine tra Usa e Messico, da Lampedusa a Trieste: le loro sofferenze sono provocate o enormemente aggravate da muri, filo spinato, leggi statali escludenti, eserciti e polizie, indifferenza ed egoismi.
Allo stesso tempo, il gesto di quella madre che salva i figli ci dice qualcosa di così universalmente vero, di così presente tanto nelle grandi tragedie della storia come nei mille gesti della quotidianità da esser spesso dato per scontato o, peggio ancora, negato allo scopo di nasconderne le straordinarie potenzialità: la vita umana è resa ogni giorno possibile soprattutto grazie all’opera di cura di cui il genere femminile è specialmente protagonista e artefice.