All’inizio di dicembre il presidente Putin ha ammassato decine di migliaia di soldati al confine con l’Ucraina, con il pretesto di voler impedire il paventato ingresso dello Stato ucraino nella Nato con il conseguente sganciamento di Kiev dalla storica dipendenza dalla Russia e il costituirsi di una minaccia nel “giardino di casa” del Cremlino. Una dimostrazione di forza diretta anche a fugare dubbi circa la capacità della Federazione russa di mantenere intatta e ferrea la propria influenza verso le repubbliche dell’ex Unione sovietica, scossa dalle recenti mobilitazioni popolari in Bielorussia.
Stati Uniti e Ue denunciano le manovre militari di Mosca in nome della difesa della sovranità dello Stato ucraino e annunciano ritorsioni di carattere economico ma nascondono a fatica impaccio e nervosismo. Di fatto non possono permettersi di rompere con Putin per corpose ragioni che vanno dalla dipendenza energetica dei paesi europei alla preoccupazione di parte americana che Mosca stringa in modo ancor più organico un’alleanza con la Cina che si manifesta da anni su numerosi terreni di carattere strategico.
In molti sostengono che Putin cerchi in realtà soltantodi ottenere un vantaggio politico-diplomatico senza volersi imbarcare in un’azione militare destabilizzante e piena di incognite e di rischi per lo stesso regime del Cremlino. Ma sappiamo bene quando gli stati preparano la guerra, troppo spesso poi la fanno sul serio, spinti dall’imparabile logica bellica alla base della loro fondazione e della difesa della loro stessa esistenza. In questo caso, poi, il precedente è troppo vicino per non allarmarsi: nel 2015 Putin ha invaso ampie porzioni di territorio ucraino annettendo impunemente la Crimea e tentando di occupare militarmente l’intera zona mineraria del Donbass tuttora contesa fra i due Stati dopo una guerra durata tre anni che ha causato più di 10.000 morti e circa 25.000 feriti. A pagare il prezzo più caro è la popolazione ucraina costretta ad un esodo di massa verso i paesi limitrofi, in primis la Polonia dove gli immigranti ucraini sono oggi intorno al milione. Fra questi anche non pochi dei circa diecimila disertori sfuggiti alle bande paramilitari costituite dal presidente ucraino Poroshenko che andavano di casa in casa a prelevare giovani da arruolare con la forza. A riprova di quanto il nefasto espansionismo grande russo, che riapre le ferite di terribili drammi storici del recente passato, non possa in alcun modo essere combattuto in nome del revanchismo nazionalista, non meno ottuso e reazionario, promosso dal regime ucraino.