L’inserto de la Repubblica dello scorso 11 dicembre, il venerdì, ricorda con un titolo al veleno le vicende di dieci anni fa in Nord Africa e Medio Oriente: “Maledette primavere”. Di che si tratta?
Nel dicembre del 2010 prende avvio un tumultuoso processo di mobilitazione umana, particolarmente femminile e giovanile, che scuote dalle fondamenta odiosi poteri oppressivi. Milioni di persone, dalla Tunisia allo Yemen passando per Egitto e Siria ed altri paesi dell’area, cercano la propria libertà e una vita migliore, si uniscono affermando la dignità umana come valore centrale. Diversi dittatori, apparentemente inamovibili, sono costretti alle dimissioni e alla fuga; le ripercussioni sono planetarie.
Per quanto ci riguarda, abbiamo definito queste vicende “rivoluzioni della gente comune”, soprattutto con riferimento alle sue espressioni più alte in Egitto e in Siria. Esse sono state soffocate in un bagno di sangue (tutt’ora in corso in Siria e Yemen) grazie ad una vasta convergenza di poteri oppressivi anche molto diversi tra loro, dai rais locali a vecchie e nuove potenze internazionali. Per ricacciare indietro le speranze rivoluzionarie sono state usate le bombe, il silenzio, l’ipocrisia, le “linee rosse invalicabili”, perfino un nuovo mostro neonazista come l’Isis.
“Cosa resta di quelle rivolte?” si domanda la Repubblica; un interrogativo che può essere affrontato da angolazioni differenti e opposte. Per quanto ci riguarda, coltiviamo la comprensione sentimentale, cerchiamo di trarre lezioni umane e programmatiche, ne curiamo la memoria. Ma c’è anche chi, al contrario, vuole affogarle nell’oblio con un titolo di giornale che offende e invita alla rassegnazione.