Le vittime davanti ai nostri occhi, scorrono cifre e immagini fugaci ma tremende nei telegiornali.
La pandemia non ha fermato le guerre né le prepotenze e i massacri verso chi cerca di emigrare. Le “riaperture” e l’approssimarsi della “bella stagione” hanno dato nuova spinta alla furia bellica ed alla persecuzione dei dannati della Terra.
Persone innocenti e indifese, bimbe e bimbi cadono sotto le bombe e i razzi in Palestina e in Israele, annegano nel Mediterraneo. Se le malattie globali sono inevitabili, forse queste morti di guerra o di mera violenza disumana dovrebbero essere perlomeno contenibili? Invece la logica statale non contempla concessioni, i cosiddetti danni collaterali sono la loro regola in patria e fuori. Regna l’ipocrisia sfacciata di chi, come Biden, continua a foraggiare l’arsenale sionista e, dopo i bombardamenti, dice che la priorità è la ricostruzione a Gaza. I “vantaggi” democratici si vedono in questo paese, dove governacci e governicchi si sono succeduti cambiando poco in generale ma nulla rispetto a fratelli e sorelle provenienti dall’estero.
Oppure c’è l’esempio dell’ultima “roccaforte” socialdemocratica ispanica che gioca una partita con i dirimpettai marocchini sulla pelle degli immigrati, usati come strumento di ricatto. Non bastano pietà e commiserazione: bisogna reagire, fare qualcosa. Sì, ma cosa? Come? Protestare è giusto ma labile, momentaneo. Rilanciare o rafforzare la solidarietà è indispensabile ma richiede tempo ed unità tra le forze che la sostengono, la capacità di incidere dipende dalla comprensione e dalla sensibilità delle persone di buona volontà.
La solidarietà reattiva è difficile, probabilmente perché in qualche misura subiamo il clima culturale della decadenza, assorbiamo senza saperlo le tossine del cinismo bellico, padronale, patriarcale, razzista. Circola in forma pop o snob una cultura della morte, si diffonde in rete la celebrazione delle violenze di tutti i tipi, si propaga velenosa la strafottenza verso i più deboli, atteggiamenti fascistoidi inconsapevoli prendono piede. C’era da aspettarselo in un paese dove nei residui antri accademici si celebra il mantra del filonazi: “Essere per morire”, appunto.
Allora il primo vero compito essenziale è ritrovare il senso dell’umanità: difendere il sapere che siamo tutti parenti tutti differenti; affermare il valore e la difesa delle vite in ogni loro aspetto; cercare, fondare, alimentare, propagare una cultura biofila che riscopra le migliori qualità della nostra specie, il valore del genere femminile e quello dell’infanzia; sperimentare le capacità di scelte benefiche e condivise, il significato proprio ed attivo di una morale e di un’etica solidale e comunitaria; comprendere ed interpretare la centralità delle soggettività: delle persone, delle relazioni, delle collettività libere.
Grandi compiti, irrinunciabili. Non c’è nulla di più urgente, nulla di più concreto, nulla di più importante. Noi ci stiamo provando, a fatica ma con rinnovata convinzione: abbiamo bisogno di voi e di altre forze organizzate, vogliamo essere per vivere assieme, meglio.
23 maggio 2021
2021-05-19