L’amore è un tema centrale nell’umanesimo di Dante. Lo si riscontra in tutta l’opera, ed è il perno dell’architettura morale della Commedia. Ispirandosi a molteplici fonti, il poeta concepisce un’idea del sentimento contraddittoria: lo elabora infatti come carattere costitutivo della natura umana e al contempo occultato nel religioso “Dio è amore”, “che muove il sole e le altre stelle” diventando principio di armonia cosmica. Per Dante gli umani, come tutti i viventi, sono sospinti a vivere e ad amare la propria vita dall’amore naturale, istillatoci dalla divinità1. Amore naturale che convive con quello di elezione, dipendente invece dalle qualità umane di ciascuno, come testimoniato dal fatto che a donne e uomini dai “cuori gentili”, “ratto si apprende” (cioè fra chi è virtuoso sorge immediato). L’amore d’elezione è sempre corrisposto (“a nullo amato amar perdona”) e le donne ne sono protagoniste fondamentali anche se ingabbiate all’interno della famiglia patriarcale, poiché il poeta si muove comunque all’interno degli schemi oppressivi consolidati. L’amore, inoltre, in Dante è ambivalente, cioè può indirizzarsi sia positivamente che negativamente: è “sementa in voi d’ogne virtute / e d’ogne operazion che merta pene”2. È positivo quando anela al “maggior” bene – quello spirituale – e persegue con temperanza il godimento dei beni materiali e dei piaceri sensuali. La sensualità, pur avvolta in un velo mistico, ha una certa rilevanza per l’autore: lo svelano le opere di tanti pittori e scultori che, ispirati da lui, esaltano il valore del nudo e le immagini erotiche qua e là disseminate nella Commedia. Essendo fonte di virtù, ancora, l’amore può essere fondamento di una comunità politica armoniosa e in amicizia. Il sentimento diventa invece fonte di male quando è debole nel perseguire nobili fini oppure quando è troppo vigoroso, ovvero quando predilige con smodatezza il bene materiale e il piacere lussurioso; e, soprattutto, quando si rivolge contro gli altri diventando “superbia, invidia, avarizia”. Queste ultime sono infatti nella visione dantesca cause principali del decadere del pacifico convivere perché inevitabilmente sfociano in conflitti violenti e guerre che solo una politica moralizzata può impedire. Ma la politica, al di là di ciò che Dante al suo tempo credette, non può garantire un vivere pacifico e felice, tra l’altro perché in essa “superbia, invidia e avarizia” non sono accidentali ma basi sostanziali, cioè è oppressiva per natura: è la maschera della guerra3 la cui logica tende a prevalere, alimentando odio e conflitti. Anche in questo caso, quindi, per noi “convien tenere altro viaggio”4 dal fiorentino la cui figura, però, continua ad affascinare perché fu tra coloro che ebbero il coraggio di cantare “Amor mi muove che mi fa parlare” combattendo il male del suo tempo e intuendo qualcosa di profondo sulla natura umana.
1. Vittorio Sermonti, Il Purgatorio di Dante. Supervisione di Gianfranco Contini, Garzanti 2021, pagg. 329-331.
2. Dante Alighieri, Purgatorio, XVII, vv. 102-105.
3. Dario Renzi, Democrazia. Un orizzonte insuperabile?, Prospettiva Edizioni 2003 e D.R., Dialoghi umanisti socialisti I, vol. 3, La sentimentalità ci guida, Prospettiva Edizioni 2019.
4. Dante Alighieri, Inferno, I, v. 91.
tratto da La Comune n°378