L’appropriazione dei dati sanitari della Regione Lazio – con tanto di richiesta di riscatto – è un fatto molto grave in sé che al contempo evidenzia quante chiacchiere, propaganda, affari e incompetenza ruotano intorno al digitale a tutto danno delle persone comuni. In sé: i dati sanitari resi indisponibili dai pirati informatici significano appuntamenti e visite mediche saltate, operazioni che vengono rimandate, tamponi che non vengono eseguiti. Il disastro diventa occasione non per un ripensamento sul dilagare dei sistemi informatici, anche dell’amministrazione pubblica, nella nostra vita quotidiana ma per scatenare una nuova offensiva ideologica e affaristica: l’Agenzia per la cybersicurezza, ovviamente fuori dal controllo dei comuni mortali. Sul destino di tale Agenzia è più che lecito pronosticare che non rovescerà la linea di tendenza che negli ultimi mesi ha visto il moltiplicarsi degli attacchi informatici. E già si parla di guerra al cyberterrorismo.
Quella digitale appare ed in effetti è sempre più una vera e propria trappola. Non solo le grandi aziende, anche lo Stato italiano sta costringendo sempre di più tutti a sottomettersi a un processo di digitalizzazione (presentato come irresistibile espressione di progresso) per cui qualunque cosa ormai uno debba richiedere, che sia il rinnovo della tessera sanitaria o la prenotazione del vaccino, si è costretti ad andare su siti web, ad avere un minimo di dimestichezza con il computer e a dotarsi di una pazienza infinita per riuscire a ottenere qualcosa, senza neanche la garanzia del rispetto della tanto sbandierata privacy.
Sapere della pervasività e del carattere nocivo e pericoloso delle cosiddette tecnologie leggere è un primo passo di consapevolezza indispensabile per non sottomettersi volontariamente a tale schiavitù e, ogni volta che sia possibile, per contenere il danno.