Le iniziative per l’anniversario del G8 a Genova si sono concentrate sulla denuncia della violenza e delle torture di una premeditata repressione poliziesca gestita dall’allora governo Berlusconi.
Molteplici commenti e articoli sono stati però un’occasione persa per tornare criticamente e più approfonditamente su quelle vicende tragiche e dolorose.
A nostro avviso affermare a distanza di 20 anni con troppa linearità e coralità che “avevamo ragione” e perciò” si è scatenata la repressione” e ripetere che nel luglio genovese “sono state sospese le garanzie democratiche”, significa reiterare un approccio superficiale.
Prima, durante e dopo le giornate di Genova abbiamo espresso le nostre idee in forte dissenso con quelle dei promotori.
Abbiamo preso le distanze dai rappresentanti dei social forum che a Genova si proponevano l’obbiettivo di invadere la “zona rossa” e di “assaltare il fortino” (dichiarazione dell’allora segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti), così come dai sedicenti “disobbedienti” che con gli scudi di plexigas si preparavano alla pantomima degli scontri di piazza.
Tanta tecnica, pochi contenuti e qualche vaga idea. Tra queste la (giusta) denuncia dello strapotere delle istituzioni mondiali e dei monopoli economici e finanziari affiancata però da quella (totalmente sbagliata) dello svuotamento della sovranità degli Stati e dei parlamenti nazionali.
Un’idea che rinnovava dannose illusioni e la difficoltà, se non proprio l’impossibilità, di riconoscere la natura oppressiva degli Stati.
Eppure se oggi come allora riecheggia la tesi che a Genova la repressione è stata il prodotto della “sospensione della Costituzione” vuol dire rinunciare a vedere il cuore nero della democrazia. Le torture alla Diaz e a Bolzaneto ci sono state non per una “sospensione della democrazia” ma perché ogni Stato democratico può agire così per il suo codice genetico.
La feroce repressione, i depistaggi, le prove false e la valanga di menzogne non sono stati un’eccezione di Genova. C’è un filo nero e sporco di sangue che lega le tante stragi di Stato, la mattanza di Genova, i casi di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi. Lo stesso filo riconoscibile nella rappresaglia poliziesca nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere che non è affatto l’ennesima “sospensione della democrazia”.
Sono vicende che hanno al centro l’agire inemendabile degli apparati statali mossi da una logica bellicista, disumana e disumanizzante che però non si vuole riconoscere. Ed è preoccupante che ciò accada ancora oggi dopo vent’anni da Genova.